Antonio Sacco
Manuale di scrittura haikai.
Vademecum pratico per comporre poesie haiku e altre forme poetiche di origine giapponese.
Ed. Nuovo Ateneo, Piazza Armerina, 2024
Nota di lettura
L’autore, fin dal titolo e nel puntualmente testo, tiene fede alla promessa, consistente nel dirci come comporre (principalmente, ma non solo) un haiku, la particolare forma poetica e metrica giapponese, affermatasi “intorno alla metà del XVII secolo” (Intr., p. 16) e divenuta celebre anche da noi. Dunque si tratta di una guida pratica a un singolare tipo di poesia, che, nei dodici snelli ma densi capitoli, ne traccia l’identità, mostrando “la sua vera forza, bellezza e potenza” (Pref. p. 12): in particolare il libro verte sullo haiku nei capp. 1-7 ma anche su “altre forme poetiche” (p. 12) giapponesi, quattro in particolare: la tanka, il senryū, lo haibun, lo haiga.
Tutto ciò riguarda il comporre haiku in lingua italiana, beninteso. I titoli dei capitoli stessi, che qui menziono, vertono sia sugli “aspetti formali” (c. 1: connesso, a mio avviso, ai capp. 3 e 4 sulle tecniche compositive) che sugli “aspetti contenutistici” (c. 2: che in qualche modo si connette al c. 6 – “Il concetto dello spirito della poetica haiku”).
Come ogni buon vademecum – e questo mi sembra davvero tale – il libro offre inoltre continui consigli pratici per i neofiti dello haiku, con indicazioni e analisi a cui sono dedicati specialmente l’intero c. 7 ma anche i capp. 9, 10 (“Consigli pratici”) e 11; il c. 5 addirittura titola “Come non si compone una poesia haiku”; si propongono esercizi in ogni capitolo e in fine si offrono le soluzioni.
Dunque troviamo parti che riguardano il contenuto, lo spirito dello haiku, i “meccanismi dell’ispirazione poetica” (titolo un po’ singolare, invero: quando si legge “meccanismi” si pensa ad espedienti di forma e di tecnica e non tanto a fatti di ispirazione), e (c. 9) lo “identikit del poeta di haiku” ovvero lo haiijin; e parti che dello haiku espongono aspetti formali e tecniche. Nel complesso, sembra tutto piuttosto attento e meditato, si tratta una conoscenza esposta sistematicamente, senza voler lasciare niente al caso.
Per quanto riguarda gli aspetti formali che ogni haiku deve presentare, cito l’assenza di titolo, il celebre schema metrico (5/7/5 sillabe in tre versi – cfr. a p. 21, esposizione che include note assai puntuali e interessanti), l’assenza della rima, eventualmente lo stacco. Mi soffermo solo sullo schema metrico, cioè al fatto che “possedere un metro preciso” (p. 22) con riferimento al numero delle sillabe è condicio sine qua non dello haiku. Ma le pagine dedicate si addicono anche a qualsiasi poesia che intenda obbedire a metro: compresa la distinzione-base tra conteggio ortografico e conteggio metrico delle sillabe in un verso e, per la metrica, l’importanza della sinalefe (cfr. pp. 22 sgg.). Si richiama qui insomma il fatto che la poesia ha una propria disciplina e cito un punto, per offrire un’idea della estrema attenzione dell’autore al dettaglio, che non dà per ovvî aspetti che potrebbero sembrarlo:
Per capire se una parola è sdrucciola o piana raccomando, almeno all’inizio, l’utilizzo di un buon vocabolario, ma consiglio sillabari on-line perché spesso sono fuorvianti o imprecisi. (29)
Si vada infatti a vedere la differenza tra un buon dizionario di italiano e gli stessi esempi online, per quanto riguarda p. e. le parole “mio” o “suo”: si potrebbero avere sorprese, come su molte regole della lingua che ci sono ma che forse non rammentiamo.
V’è qui un aspetto che supera le intenzioni del libro stesso e riguarda ogni discorso sulla poesia.
Quando si passa a parlare di contenuti dello haiku, da rispettare con poche eccezioni, l’autore chiama in causa il topos del riferimento stagionale, chiamato parola di stagione (p. 39), che però “assume il compito… di veicolare le sensazioni e i sentimenti dello haiku stesso attraverso il dato naturalistico” (ivi); tra gli altri caratteri, cito poi quella che Sacco chiama la riduzione dell’io lirico: “la presenza dello haijin c’è, ma si muove sullo sfondo… con l’annullamento della barriera che separa lo haijin dalla cosa osservata” (p. 49). Certamente ciò concerne lo haiku, ma domando: non può riguardare forse anche la poesia in generale, intendo almeno un certo tipo di poesia e non ogni tipo possibile e anche noto? Sacco risponde che alcuni aspetti – nel caso, “la poesia nasce dal fare poesia e dal leggere poesia”, valgono “anche per i poeti di versi liberi occidentali” (p. 101). E dice quali: p. e. amore per la natura, sincerità, atteggiamento non giudicante (cfr. pp. 101 sgg.).
Altro discorso presente, ma che può eccedere questo libro: proprio i capitoli sulle tecniche e sui contenuti. Il punto è che è talora francamente difficile distinguere gli uni dalle altre: p. e. nel c. 3 sulle tecniche di composizione si legge che, in haiku, si prescrive in genere e salvo eccezioni la presenza di due opposte ma correlate immagini (e mai più di due: cfr. p. 51). Si tratta di tecnica haiku e riguarda la forma della composizione, ma è fattore che torna anche sul contenuto. Così dicasi, allorché si tratta di struttura semantica della poesia haiku (p. 57), della distinzione tra asse sintagmatico e asse paradigmatico di un componimento (pp. 57-63): qui mi sembra evidente la correlazione tra la forma e i contenuti presenti in poesia. “Con asse paradigmatico ci si riferisce alle scelte linguistiche e semantiche operate dall’autore” che “seleziona parole, immagini e concetti al fine di creare, in seno a una poesia, un insieme coerente di significati” (pp. 57 e cfr. sgg.); l’asse sintagmatico invece “si riferisce alla struttura grammaticale e all’ordine lineare delle parole all’interno di un ku (cioè verso o linea, n.d.r.) … organizzate e combinate tra loro per formare un significato preciso. Un esempio, l’espressione «fiorisce un grande ciliegio» ha un asse sintagmatico preciso” (pp. 58-9). Se invece si scrivesse “fiorisce un ciliegio grande”, invertendo l’ordine di due parole, “si creerebbe un diverso asse sintagmatico e, si badi bene, la frase assumerebbe un significato differente” (p. 59).
Peraltro “A volte, in talune poesie haiku, noto un uso bislacco dell’ordine in cui sono disposte le parole… Ciò vuol dire un asse sintagmatico non naturale, artificioso e forzato. Tutto questo non si addice alla poetica haiku, la quale si nutre di essenzialità e semplicità anche nella disposizione delle parole…” (ivi).
Pur parlando dello haiku in particolare, l’autore stesso invita a considerare che “un poeta di versi liberi, così come uno haijin italiano” sono tenuti a possedere tali nozioni nel loro “bagaglio di conoscenze letterarie” (p. 57): il discorso può riguardare il fare poesia in genere.
Dunque, alla domanda se questo lavoro sul fare poesia sia da intendersi soltanto per quel genere di poesia o se invece non possa valere per la poesia in generale, la risposta mi sembra ovvia. Si tratterebbe in alcuni dettagli importanti di poetica haiku, ma anche, in buona parte, di riflessione sul fare poesia in generale – ogni poeta fa la propria, certo, ma ci sono regole per certi tipi di poesia e forse in qualche misura si potrebbe anche trovare qualcosa di comune.
Questa che in partenza è l’opinione dell’autore, s’ìntende, è anche mia, almeno per quanto dirò.
Intanto, il “Non ci si improvvisa poeti” (Intr., p. 18) può valere per qualunque genere di poesia, sebbene per l’haiku occorrano anche competenze specifiche: come occorre per comporre un sonetto, per esempio.
In poesia si può parlare di forma e contenuto, così dico per capirci, dal momento che si tratta di concettualità ampiamente discussa e criticata e di una specie di antitesi così usata da risultare ormai logora. Ma è anche superata? Sacco, forse, senza voler proprio questo, la ripropone, e fa bene, perché qui si potrebbe vedere chiaro e tondo anche quale sia la differenza, o almeno una differenza (e chi non crede di saperla? Ma cosa di volta in volta s’ intende?) e, se possibile, la relazione. Ecco: a inizio c. 6 su “Il concetto dello spirito nella poesia haiku” leggo
Vi sono molti scritti in metro di 5/7/5 sillabe che, pur presentendo alcune delle
caratteristiche basilari di uno haiku, non possono essere ugualmente considerati
vere e proprie poesie haiku ortodosse perché manca in essi un “quid”,
lo “spirito” della poesia haiku, appunto… comprendere la sensibilità poetica
tipica dello haiku….(è, n. d. r.) un percorso che richiede tempo e un costan-
te affinamento della sensibilità… (pp. 69-70).
.
Segue un paragrafo che indica alcuni “concetti estetici tipici” di questa poesia. Forma o contenuto? Sono in relazione stretta, ma qui si dice che non è questione di sola forma. Vi sono contenuti in poesia, eccome!
Nonostante la forma della poesia venga rispettata, quando considero i significati, le immagini e le intenzioni del componimento, può mancare qualcosa che dovrebbe. L’osservanza delle regole formali non è affatto sufficiente. Certi contenuti – afferma la prefatrice Valentina Meloni, che è un’autorità in ambito haiku –, “sono universali” come “l’essenza umana, le passioni, i moti d’animo” e si possono esprimere “indipendentemente dalla cultura di origine” (Pref., p. 11). Una posizione che si contrappone a un’altra, che vorrebbe i contenuti essere relativi al proprio tempo e alla cultura d’origine. Può darsi anche questo, purché non si faccia sociologia della poesia.
Del contenuto sono componenti “sensibilità, disciplina e una profonda connessione con la natura umana” (Pref. pp. 8-9) e a questo, tra l’altro, contribuiscono concisione, equilibrio, semplicità (ivi). Ognuno vede che concisione, equilibrio e semplicità hanno a che fare anche con la forma e non solo con il contenuto.
Pur essendo essenziale e scritto con semplicità, il libro ha una sua completezza e una complessità in cui non mi addentro, raccomandandone a chi sia interessato l’attenta lettura.
Tuttavia ho inteso dare questo taglio alla mia nota, non solo per render conto della accuratezza nello specifico argomento di questo testo ma anche di quanto esso possa essere prezioso in generale.
Questo è un libro lineare ma non solo per anime semplici.
Viste le discussioni sulla relazione forma-contenuto, che stanno proseguendo in Campania come altrove (p. e. Lucrezi e lo stesso Cucchi, vedo, proprio in questi giorni, sulle rispettive pagine di poesia di “la Repubblica”; poi anche altri, ovviamente ognuno in modalità molto diverse) e il permanere di tesi che vorrebbero la forma, intesa come musicalità, perfezione e quindi perizia nel comporre, essere infine la poesia stessa – oppure tra l’altro le varie maniere d’intendere la sperimentazione – nel presente caso si indica almeno un equilibrio possibile nella difficile questione. Credo che la posizione qui sottintesa sia una particolare versione del rapporto tra forma e contenuto in poesia, che comunque mette in evidenza come le due componenti, da noi distinte, si colleghino per molti aspetti e in certo modo risultino anche indistinguibili.
Parafrasando Kant, potrei dire che, se proprio necessita separare, in poesia la forma senza contenuto è vuota, il contenuto senza la forma è cieco.