copertina "Multiverso. Di quel colore che soccorre, a volte" copertina "Multiverso. Di quel colore che soccorre, a volte"
05 Marzo

Rubina Giorgi su "Multiverso" (2018, gennaio) In evidenza

 

Rubina Giorgi su “Multiverso” - Puntoacapo Editrice, Pasturana (Al) 2018

 

In occasione della pubblicazione, il 12 gennaio 2018, Rubina Giorgi mi scrisse: 

"È il mio omaggio al tuo secondo poetare. Puoi dirmi ovviamente se hai obiezioni. Se mai lo pubblichi (o ne leggi qualcosa in pubblico)

dovrò rivedere con te righe e periodi (… ).

Ciao. Un abbraccio. Rubina ".

Purtroppo non c'è stato tempo. E comunque, domando, cosa mai può iniziare e cosa finire ed esser compiuto, come invece siamo soliti dire? Anche così ti ricordiamo tutti.

 

"Il mondo è una basilica evidente". Come facciamo a non vederla?

    C’è, in questi componimenti, un’ansia di evidenze, che produce intenso dialogare e ascoltare, domandare e offrire. E occorre farsi pellegrini, nomadi, per sciogliere l’ansia in evidenze visibili, in immagini empatiche e, implicitamente, frequentabili e amabili. Ne deriva un confronto diretto, pacato quasi sempre, paziente in attesa, con l'esperienza del mondo –  non solo con i propri simili da parte dell’esperiente ma pure con le cose, naturali o costruite dagli uomini, con gli elementi e gli animali e le piante. “Aspetti silenzioso come gli ulivi e i capri” ma anche “Noi siamo come una città: / periferie, orizzonti, / viaggiatori e avventura,/ orientarsi e perdersi.” Desiderio di misurarsi con la vastità, tutta la vastità, che non è universa ma multiversa, in essa portando e contemplando, e altresì sondando, le diverse creature; fors’anche ad essa abbandonandosi. Cederle e anche resisterle. 

    La molteplicità, i molti versi del cosmo sensibile, simultanei e mutevoli, trasformano la realtà in apparenze, che appaiono e dispaiono, e sono tempi che  vanno e vengono  …  Ed è in questa  animata vicenda di forme e tempi che nascono, o meglio insorgono, i guizzi poetici compendiosi, un rapido vedere a contrasto col ritmo pacato consueto : “Apprendi a lasciare. / Togli piuttosto che aggiungere, / riduci all’essenziale. /  Studia ciò che resta per sapere / se farne a meno.” C’è esigenza di severo abitare presso la luce duramente – s’indovina – conquistata; un abitare che si pasce tuttavia anche di tenera parola. Aleggia su tutto come un velo di sentire materno, a custodia della conoscenza  che si forma, quasi il  multiverso che ci travaglia avesse bisogno nel farsi presenza di riposare su di esso.

    Bisogna tener conto di una notazione del poeta-filosofo, premessa alle sezioni poetiche: “Non so l’essere: ma l'apparire del mondo è multiverso. Voglio dire che infinite e mutevoli descrizioni ne sono possibili”. Ciò comporta che le partizioni tra essere e apparire si attenuano, o perfino cadono. Una volta accettate le  prove cui il multiverso ci sottopone, il mondo lievita in forme innumerevoli – o esaltate nel colore (a volte benefico secondo l’autore) od ondeggianti in versioni invernali, in cui la luce diminuisce   e avvengono passaggi d’incertezza e lontanante memoria di un altrove già vissuto. E allora tutto può confondersi verso l’indifferenza, una superiore indifferenza, verso un’ombra in cui è dato presumere la presenza di dio, in uno spazio che si fa sentire come “vento di dio” e in cui “le galassie si sfilacciano come pensieri solitari”: “In lui l’oriente del vento o la sua fine, / che si porta le certezze dei bambini / e le voci dei morti. / In lui le voci o le rose che verranno. / Dio dev’essere ombra d’indifferenza.” Qui i molti versi del mondo, per lo più tra loro avversi, si ricompongono finalmente in parità tra le essenze di vita e morte, in perpetuazione di dialogo con le potenze e i viventi già rapiti dall’invisibile.

    In proposito, occorre pensare che le esperienze acquisite da Carlo nei suoi viaggi, nel pellegrinare in specie tra  le Americhe e le Indie, abbiano segnato in modo impressivo questo Multiverso . Un esercizio di poesia, un poetare, che è divenuto meditazione, più mediato rispetto alla maggiore immediatezza delle fasi poetiche precedenti. Che è divenuto ascesi  in scrittura, o, direttamente, scrittura ascetica che dissolve le separazioni tra  i vivi e i morti, tra gioia e dolore, il possesso e l'abbandono. 

 

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