Gabriele Pulli*
Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio. A partire dall’opera di Emanuele Severino.
Mimesis, Milano-Udine, 2022
… si può ritenere che la “parte” del pensare che attesta
l’esistenza del nulla abbia bisogno di essere integrata
dal credere che il nulla non esista per esorcizzare
l’angoscia del nulla. Ma si può ritenere anche che ciò
avvenga a parti invertite; e cioè che la “parte” del
pensare che attesta l’inesistenza del nulla abbia bisogno
di essere integrata dal credere che il nulla esista, per
non perdere la tensione verso l’assolutamente nuovo,
che per essere tale deve sopraggiungere come qualcosa
che emerge dal nulla.
G. Pulli, Inconscio del pensare, inconscio del credere (2023)
Tutto ciò che si può dire nel linguaggio è stato detto? E lo stesso si domanda per il pensiero, tutto il pensabile è stato pensato? Quale rapporto passa tra pensiero e linguaggio? E che dire del rapporto tra pensiero, linguaggio e cose? E delle immagini? Si è sempre cercato e studiato su questo nella storia del pensiero, già dai suoi esordi. Ma già dal principio del libro si comprende che non si tratterà di rifare percorsi già compiuti; sarà invece un’altra avventura del pensiero. Lo sa chi legge gli scritti dello studioso salernitano, che ci ha abituati al rigore e alla indipendenza dell’argomentazione.
L’apertura del libro chiarisce con evidenza e rara bellezza l’argomento che sta a cuore.
In genere, il ricorso al concetto di inconscio è frequente nella letteratura, e viene svolto diversamente, anche quando si tratta di arte e di poesia, dai padri della psicoanalisi e della psicologia analitica. Qui si menziona Freud[1], ma il riferimento filosofico fondante è quello, presente fin dal titolo, all’opera di Severino[2]. Con lui, l’ autore si domanda: “è possibile che non esista alcun pensiero incontrovertibile e definitivo?”[3], e risponde che “è necessario rispondere negativamente”[4].
Nel linguaggio (ma anche nel pensiero) si può pensare alcunché di ancora “privo della parola” , detto “il significato puro”. Ecco: “Non testimoniato dal linguaggio, esso ne è l’ ‘«inconscio»”[5].
Di cosa si parla? Del mondo e del nostro avere un mondo, in generale; di come ciò sia possibile, e di come tale mondo sia, ma anche di come possa essere.
A tal fine, i temi “del dolore e del desiderio” [6] vengono esaminati alla luce dei due concetti della “eternità e temporaneità”[7] delle cose. La proposizione “Le cose sono eterne” (e dunque “il nulla non è”) coesiste, nel dolore e nel desiderio, con l’opposta contraddittoria “ogni cosa diviene” (e dunque “il nulla è”): nel dolore, ad esempio, “Si soffre per la perdita di qualcosa”[8], la si sia o no avuta, e lo stesso desiderio, stando al Simposio[9], è desiderio di ciò che manca, finché manca[10]. Dunque sembra che si soffra e si desideri perché le cose divengono e mutano. Tuttavia, in tutti i casi si mostra il senso del “trasformare il nulla in qualcosa”[11], anzi, più radicalmente, il dolore “implica sia il ritenere che il nulla sia qualcosa (…) sia il ritenere che il nulla sia nulla[12]. In modo analogo avviene per il desiderio.
La proposizione il nulla è viene indicata da Severino al fondo del nichilismo come essenza della nostra epoca: la “persuasione che l’ente sia niente”[13] viene da lui definita come nostro modo inconsapevole di vedere le cose – ciò che si nasconde dietro la persuasione che le cose divengano. Se ogni cosa muta e diviene altro, allora le cose “sono” niente. Nel senso che allora il niente è.
Ma ciò che riteniamo contraddittorio lo è davvero, e ciò che riteniamo impossibile è veramente tale? Seguendo “tale caratteristica dell’inconscio”, in cui i contraddittori sembrano compossibili, infine si tratta di “sospingere il pensiero – le forme del pensiero di cui attualmente disponiamo – al di là dei propri limiti, che è il primo obiettivo di questo libro” [14] e così anche i limiti del linguaggio. Dunque il secondo obiettivo del libro riguarda il linguaggio: chiarire, se possibile, “quella tensione a sospingere il linguaggio al di là di se stesso che è apparso l’àmbito proprio della poesia” [15].
L’inconscio si fa presente a ciascuno di noi nel sentire “qualcosa della vita che sfugge a se stessa” [16]. “L’indicibile e l’impensabile sono (…) parti delle sfere più ampie del non detto e del non pensato” perché “il non detto s’intende come qualcosa di non ancora detto e tuttavia dicibile (… e) qualcosa di non ancora detto perché indicibile nelle forme del linguaggio di cui si dispone” [17]; dunque vi sarà “un dire relativamente originale, che dice qualcosa di non ancora detto ma già dicibile, e un dire assolutamente originale (…), che rende dicibile qualcosa che sino ad allora era stato indicibile. L’ambito di questa seconda forma del dire è quello della poesia, (…) come la potenzialità più alta di qualsiasi forma di espressione, protesa appunto a spostare in avanti i confini dell’inesprimibile”[18].
Allo stesso modo ma non del tutto simmetricamente è per il pensiero. “Il non pensato si articola in qualcosa di non ancora pensato e tuttavia pensabile nelle forme del pensiero di cui si dispone e in qualcosa di non ancora pensato e impensabile (…) sicché può essere pensato solo sospingendo il pensiero oltre i propri limiti”. Tale non pensato è detto “assolutamente originale”[19] e il suo ambito “è quello del pensiero filosofico” beninteso nel suo modo d’essere “ristretto ed elevato” [20].
S’ invita ogni lettore esperto o di buona volontà a percorrere l’articolazione del tessuto logico-argomentativo attraverso i concetti del nulla e della sua aporia[21], dell’eternità delle cose [22], del nichilismo visto attraverso i concetti aristotelici di diorismòs e di èlenchos[23]; la prova data da Severino dell’argomento “Il nulla non è’, in Parmenide presente solo come dogma [24] e dunque l’affermazione, sempre nel pensiero di Severino, che “anche la più minuta delle cose è eterna” [25]; della relazione dell’élenchos all’inconscio[26]; del dolore, del desiderio, in quanto connessi al nulla, della contraddizione individuabile, con aspetti paradossali[27], sebbene con evidenti riferimenti alla nostra esistenza quotidiana e al fare della poesia, che è imbevuto di questo mondo[28].
Si perviene così alla romanzesca svolta del libro[29], laddove si cerca di oltrepassare i limiti del pensiero e del linguaggio: talora richiamando, a volte integrando o infine superando gli argomenti di Severino.
Si tratta dell’affermazione della coesistenza, all’apparenza contraddittoria, dell’eternità e della temporaneità, che racchiude il senso del dolore e del desiderio. Proprio nulla che non ci riguardi, si tratta proprio di noi, di ciò che consente “la vivibilità di ciò che è vivibile” e il “pieno risplendere delle cose” [30].
La seconda e ultima parte, “L’inconscio del linguaggio” tratta, a partire dalla “chiarità estrema dell’illuminarsi del tutto”, l’eternità di tutte le cose, l’infinità delle cose, inaccessibile a noi enti finiti nel suo dispiegarsi infinito in quanto tale, e tuttavia pensabile[31].
Il suggestivo passaggio viene argomentato e reso esplicito come “infinita ricchezza delle determinazioni del tutto”[32], affermata dal pensiero che si spinge oltre il limite. Allora “Insieme al finito appare dunque quell’infinito che è oltre di sé” [33] con tutte le conseguenze dell’apparire di ogni parte insieme al tutto, ma anche dell’esservi parte di ogni cosa in ogni cosa, se di ogni cosa ciò che essa è non va scisso da ciò che essa non è, e quindi: ciò che la cosa non è, è presente nella cosa stessa, come traccia, come compresenza nel finito di infinite tracce dell’infinito tutto.
Complessa, come merita, la discussione ulteriore sui rapporti tra il linguaggio, che stando a Severino sembrerebbe delimitare le cose (i nomi, le parole non mostrano la connessione al tutto), e pensiero, che invece mostra tale connessione: in tal senso, il pensiero agisce in modo alquanto simile a quel che sono le cose – per qualche verso, esse stesse eccedono il linguaggio.
Come pensiamo, come parliamo, se non in riferimento a immagini? Le immagini sono il nostro mondo. E le immagini che in tal modo stanno alla base del nostro mondo si devono intendere come immagini solo percepite, cioè immagini di “cose” come supporti, riferimenti stabili dell’apparire, o anche diversamente? Su questa strada del dire, del pensare l’apparire delle cose si rende necessario l’incontro con il tema delle immagini, perché appunto le cose (e secondo alcuni è tutto) in primo luogo appaiono. E si dovrà allora distinguere tra immagine percepita, nome e immagine assoluta[34].
Cosa s’intende per immagine assoluta?
Si guardi nel celebre racconto di Carroll: come in Alice, quando appare il sorriso del gatto senza il gatto, così in ogni discorso sul bello, la cosa appare bella non perché vista nel suo contesto, nell’insieme di relazioni in cui si è usi vederla, ma da sola, in immagine ab-soluta, sciolta: le cose o le persone belle, le vediamo belle in quanto immagine isolata da relazioni di contesto.
Si pensi ad alcuni celebri dipinti di Magritte: “Quando una luce che si accende dietro una finestra, una panchina tra gli alberi, un treno che passa fra le case di periferia, qualcosa di inafferrabile nell’espressione di un viso balzano fuori dal loro contesto – (…) richiamano l’infinito intorno a sé e dentro di sé”[35].
E come intendere i contenuti dell’inconscio, ricercati in questa visione delle cose? Si tratta, al fondo, della cosa vista come immagine assoluta, isolata dal contesto e perciò eterna; oppure in una forma di speciale relazione al tutto? Ecco: “I due modi di intendere il contenuto dell’inconscio, come l’àmbito della connessione fra tutte le cose o come l’ambito dell’isolamento di ciascuna cosa, sono due visioni compatibili e integrabili: la visione di una stessa cosa da due opposti punti di osservazione”[36]. Nella visione di Severino la cosa appare nel suo volto divino quando la si considera come ciò che è, non nel tessuto delle cose. In tal modo, la cosa è eterna. Ma v’è anche una speciale forma di relazione in cui la cosa dimora stabilmente. Si direbbe che la cosa venga vista in tal caso non nelle sue connessioni stabilite sub specie rationis, che quindi legano in certo modo l’ente a ogni e ciascun ente, ma a costo di separarli dal tutto, bensì sub specie aeternitatis, come pura relazionalità nel tutto abbracciante, scevra da qualunque singolare vincolo.
Degna di questa ricchezza, la conclusione: data la distinzione tra immagine percepita, nome e immagine assoluta, la prima radice dell’immaginare, in congettura, cioè “presumibilmente”[37], vien fatta risalire all’udito e al suono, come ascolto della voce materna, ancora nel grembo. S’immaginerebbe cioè la forma visibile di ciò che, in primis, si ascolta, a cominciare dall’assunto che immaginare (cioè l’oggetto assoluto) è altro da vedere (l’oggetto percepito o pensato in relazione)[38]. Il che di fatto avviene spesso nella vita: s’immagina come dovrebb’essere una persona o una cosa che non si è mai vista ma solo udita.
Alle radici dell’immaginare sta un quid “completamente misterioso”[39] ma dotato di “un’estrema intensità”, quella sorgiva “dell’affacciarsi alla vita”[40].
Di qui il ruolo della parola e del suono. Poiché nei primi mesi nel grembo materno si tratterà di tradurre il suono senza significato in un’immagine del tutto indefinita, non avendone alcuna esperienza, “la parola intesa come un puro insieme di suoni (…) è un “significante puro” (…) o “l’indefinito che rimanda all’infinito (…) laddove l’indefinito è il varco attraverso il quale s’insinua l’infinito”[41] e si può congetturare che, se la parola definisce in virtù del significato, essa in-definisce e “con ciò” infinitizza, in virtù del suono [42].
La voce, nella poesia in particolare, “la parola come puro suono (…) può rimandare davvero alla cosa (…ovvero ) a quell’infinito a cui la cosa definita è connessa (…) e le cui infinite tracce racchiude in sé”[43]. Perché il dire del tutto originale è quello che dice l’indicibile, sospingendo il linguaggio oltre i propri limiti, ma l’ambito del linguaggio che mette in questione i propri limiti “è sembrato quello della poesia (…) in virtù di quella fusione di suono e significato che è – da sempre – un tratto distintivo della poesia”[44].
* Gabriele Pulli, Professore associato di Psicologia Filosofica, Psicologia dell'Arte e della Letteratura - Università degli Studi di Salerno
Nocera Inferiore, febbraio 2023 Carlo Di Legge
[1] G. Pulli, Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio. A partire dall’opera di Emanuele Severino. Ed. Mimesis, Milano-Udine, 2022, cfr. almeno a partire da p. 11.
[2] Cfr. Ivi, almeno da p. 13 in avanti.
[3] E. Severino, in G. Pulli, cit., , p. 99 e n.
[4] Ivi, p. 99 (c.n.t.).
[5] E. Severino, Oltre il linguaggio, in G. Pulli , cit., p. 101 e n.
[6] Ivi, p. 68.
[7] Ivi.
[8] Ivi, p. 47.
[9] Platone, Simposio, XXIa.
[10] Cfr. G. Pulli, cit., p. 47.
[11] Ivi, p. 51.
[12] Ivi, p. 53.
[13] E. Severino, Essenza del nichilismo, cit. ivi, p. 14 e n.
[14] Ivi.
[15] Ivi, p. 18.
[16] G. Pulli Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio. A partire dall’opera di Emanuele Severino. Mimesis ed., Milano-Udine 2022, p. 9.
[17] Ivi, p. 10.
[18] Ivi.
[19] Ivi, p. 11.
[20] Ivi.
[21] Ivi, pp. 22 sgg.
[22] Ivi, pp. 24 sgg.
[23] Ivi, pp. 25 sgg.
[24] Cfr. ivi, pp 32-3.
[25] Ivi, p. 34.
[26] Cfr. ivi, pp. 38 sgg.
[27] Ivi, pp. 47 sgg
[28] Cfr. ivi, in part. pp. 57 sgg
[29] Cfr. a partire dalle pp. 62 sgg.
[30] Ivi, p. 68.
[31] Ivi, pp. 81 sgg.: come “necessità del destino” (E. Severino, cit a p. 85 e n.), intesa appunto come “”l’eternità di tutte le cose” ( a p. 85).
[32] E. Severino, Destino della necessità, cit. in G. Pulli, cit., p 86 e n.
[33] Ivi, pp. 87-8.
[34] Questa discussione concilia non solo le concezioni di immagine e parola, in apparenza diverse, di Freud e Severino, ma anche le concezioni dell’inconscio dei due autori – per Severino “infinito illuminarsi del tutto”, per Freud “le pure immagini delle cose” in quanto esse sono “isolate” (cfr. ivi, p. 115).
[35] Ivi, p. 123.
[36] Ivi.
[37] Ivi, p. 117.
[38] Cfr. ivi, pp. 126 sgg.
[39] Ivi, p. 128.
[40] Ivi; e cfr. a p. 130: i bambini, stando ad alcune ricerche di psicologia, sarebbero “in grado di tradurre un dato acquisito da un canale sensoriale in un altro canale sensoriale (…) non si sa come lo facciano; è stupefacente che lo facciano” .
[41] Ivi, p. 132.
[42] Ivi, cfr. p. 133. Il rapporto tra parole e cose si risolve nel senso che le parole traducono “in quell’insieme di suoni che esse sono, appunto un’immagine” (ivi, p. 131), in caso d’una traduzione inversa come avviene dalla immagine al suono. Sarà quindi “una traduzione secondaria” (ivi).
[43] Ivi, cfr. pp. 136-8.
[44] Ivi, p. 138.