Prefazione di Rubina Giorgi
Nelle concezioni filosofiche classiche è accentuata la natura passiva delle emozioni o affetti nonché la loro soggezione all’esercizio, guida e moderazione della ragione. Nel pensiero moderno dopo Spinoza, Leibniz e Kant, ma anche grazie ad essi, e perfino grazie a Cartesio per la sensibilità che lo inclina verso il sogno e la creazione poetica, diviene gradualmente prevalente un carattere di attività e creatività degli affetti, il che produce lo spostamento della loro denominazione verso il termine “passioni” nel senso che una o più passioni costituiscano il tono dominante, il carattere attivo di una personalità, ed anche i paradossi che se ne manifestino.
Qual è la mira, o quali le mire, di questa trattazione etico-filosofica delle emozioni, che l’autore, Carlo Di Legge, con modestia ma anche con fermezza, tende a considerare come appunti per un’etica in formazione? In effetti, nonostante la situazione sopra accennata, le emozioni stentano tuttora molto ad affrancarsi dalla tutela della ragione, vigente sia nell’ideologia della filosofia e delle scienze dell’uomo sia nelle vedute di senso comune. È quasi incredibile quanto sia a tutt’oggi imperante l’identificazione delle emozioni con l’irrazionale, e si continua a procedere classificando e dividendo al lume della dicotomia irrazionale/razionale come se non vi fosse altro sul terreno immenso degli affetti e dei pensieri e dei loro rapporti e scambi e vicendevoli mutazioni governati, è supponibile, più da forze incognite, o in parte incognite, che da principî noti – forze che magari si potrebbero chiamare, in mancanza d’altro nome, simboli in senso forte.
Mira fondativa di questo libro è proprio anzitutto di stabilire l’affrancamento delle emozioni rispetto alla ragione o, meglio, la dignità e la pari diversa potenzialità. A tal fine, il suo autore si batte per dissolvere la perniciosa antitesi e la dipendenza degli affetti dalla ratio che ne copre e imprigiona la molteplice efficacia e creatività, in una parola i possibili. Onde, a buon motivo, si dà nel libro una trattazione psico-filosofica (I capitolo) del tema del “possibile” in rapporto ai concetti di “potenza” e di “forza” inerenti alla multiversa struttura generale dell’emozione. Si stabilisce un rapporto-scambio in parità tra “forza” e virtù”.
Di conseguenza andranno indagati i caratteri di fondo e dinamici dell’emozione come potenza, tra di loro e in rapporto alla ragione, così da impostare su nuove basi tale rapporto. Potenza è capacità di esistenza (Spinoza) all’insegna di un educabile “vivere secondo verità”. Che cos’è la “verità”? È un fare e un poter fare più ancora che un conoscere.
Quindi, alla luce delle ipotesi relative, il libro esamina gli effetti dell’esercizio delle emozioni nella vita individuale e di relazione (II capitolo su un’etica della relazione). Qui compare l’eros come “massima espressione della potenza”. L’amore è potenza, ma il cammino dell’eros è disseminato di contraddizioni e paradossi. La potenza ha un antagonista che è il dolore come “impotenza”. La virtù sembra non poter esistere senza presupporre ostacoli da superare (Montaigne). La variabilità individuale della potenza fa sì che non vi sia una sola etica. L’eros, più di ogni altra forza, lo manifesta.
L’esistenza è luogo della contraddizione (III capitolo). C’è una logica della contraddizione che investe l’esistenza e i rapporti affettivi, lungi dall’appartenere al solo campo della razionalità, e Carlo Di Legge la esamina a fondo. Certo i modi di tale logica che travaglia l’esistenza sono diversi da quelli che reggono la ratio. Si delinea un quadro di differenze e di figure suscettibili di apportare materiali per più d’una nuova etica. Così (tra i principî di questa terza parte) si distingue una relazione di contrarietà che è relazione etica di possibilità (orizzonte di progetto, di potenza) da una relazione di contraddizione che è relazione di impossibilità. L’impossibilità nell’esistenza è incompatibilità tra stati di cose, è l’insostenibile, l’insopportabile. Si tratta allora, per l’etica, di operare a trasformare l’impossibilità data dalla contraddizione insostenibile in possibilità sostenibile.
A proposito di questi elementi di logica emozionale, occorre tener presente la formazione dell’autore, il quale, oltre agli studi di filosofia e di pedagogia, ha nel suo curriculum un tratto di studi di matematica e di logica oltre che di filosofia della scienza. Va soggiunto che Carlo Di Legge si manifesta da anni un convincente avvincente poeta, in possesso di un patrimonio di testi poetici che in questi ultimi tempi stanno uscendo alla luce e fruttando dialogo e scambio con le voci poetiche quanto meno della sua regione con cuore vivace d’incontro a Napoli e sulla rivista napoletana “Secondo Tempo”.
Certo, quest’ampia formazione sfiora il pericolo non foss’altro di rovesciamenti simmetrici delle parti in questione: come ora rivendicando l’autonomia dell’emozione dalla ratio tende a fare della ragione, sulla scorta di Nietzsche, una “provincia dell’emozione”, l’autore così, avvicinandosi a un discrimen di passione decantata per necessità in eccesso da ragione, potrebbe incorrere in un vederne discendere effetti di “accecamento” – il che compare d’improvviso sul finire della trattazione. E, se può darsi accecamento nella vita delle emozioni, non si potrebbe rischiare di tornare a definirle... irrazionali? Ma Carlo Di Legge afferma di sostenere strutture miste, composte di affetti non razionalizzabili e di ratio, di eros e di logos – a condizione di non smarrire l’eros nell’irrazionale. E però qui campeggia, sopra a tutto, anche sopra i nostri limitanei sforzi teoretici, quello che Di Legge chiama “l’enigma del mondo”.
Tra i suoi autori nella conduzione di questa laboriosa impresa sono stati certo Montaigne per il rapporto tra filosofia o etica e autobiografia, cui Carlo Di Legge è particolarmente sensibile, e Spinoza, Kant, naturalmente Nietzsche, Wittgenstein in modi più sottaciuti ma forti, e in special modo I. Matte Blanco, che in prima linea ha sostenuto l’originarietà e sorgività dell’emozione, nutrice del pensiero e della poesia. Ma anche, e ponderatamente, l’Antico Testamento, stupefacente forziere di passioni divine e umane – direi specialmente divine! “Il Messia accecherà i saggi e i sapienti” – ci legge dall’Antico Testamento Pascal, citato dall’autore. È l’accecamento, che si trasferisce da un versante all’altro...
Le passioni sono dunque patire o agire? Si direbbe che sono intenso onnidimensionale agire e continua creazione di viventi figure di vita, se non risultasse a questo punto povera la domanda espressa, essa pure, dicotomicamente...