San Giocanni in Parco in un'immagine del nel 1723 San Giocanni in Parco in un'immagine del nel 1723
24 Ottobre

Visita a San Giovanni in Parco

Visita a San Giovanni in Parco

(Per le foto, v. Galleria, Nocera Inferiore)

Queste introduzioni ai monumenti del "Parco" di Nocera Inferiore, la collina a ridosso del Borgo in cui sono venuto ad abitare, non sono in alcun modo lavori di uno storico.  

Si tratta di miei percorsi di conoscenza dei luoghi in cui abito, e in un tempo piuttosto ridotto mi sono reso conto della loro centralità nella storia dell’Occidente. Pubblicando, desidero farne partecipe chi sia interessato.

Ringrazio l’architetto Di Sessa e tutti coloro che si sono prestati a informarmi e aiutarmi nel lavoro. Le foto sono mie.

Gli errori eventuali sono dovuti alla mia scarsa conoscenza della storia locale; chiunque mi conosca può segnalarmeli.

 

Un giorno di ottobre, un pomeriggio molto piovoso, ci mettiamo in cammino per il vicinissimo convento di San Giovanni. Una parte del gruppo è già sul posto, noi siamo ritardatari, la pioggia scrosciante ci ha bloccato. Li raggiungiamo salendo su per la scalinata attigua alla via Solimena e passando per un varco, s’intuisce che lo sia dall’apertura della rudimentale porta nella staccionata di assi e dal catenaccio rimosso e appeso: le condizioni dell’insieme sono tali che, anche senza oltrepassare la scala in pietra del Vesuvio, larga quasi quanto la facciata, evidente dalla strada ma quasi del tutto privata della sua originaria maestà perché affiancata da edifici abitati, si vede poco più che un enorme rudere, sul centro, e sulla destra, dopo un grande arco, una specie di ampio tratturo in salita, praticamente impercorribile, invaso dalle erbacce, una strada che in realtà si rivela (non lo sapevo) per essere una lunga scalinata in pietra vesuviana con balaustre in marmo, in parte rattoppate da sostituzioni in pietra grigia.

Il consenso del Sindaco è assicurato e l’Architetto Di Sessa, Direttore dei lavori, si fa trovare all’ingresso e dimostra anche lungo tutto il percorso la sua disponibilità, e quindi il proprio genuino interesse per il complesso di San Giovanni e per la socializzazione dei risultati, possibilmente in attesa del completamento, legato alla disponibilità di una seconda parte dei fondi necessari. L’altro fautore di questa visita, Luigi Di Filippo, purtroppo resta a riposo per un’influenza.

Il gruppo appare uniformemente coinvolto, numerosi sono i dilettanti fotografi con fotocamere o cellulari. Colpisce che i partecipanti siano di tutte le professioni, da insegnanti anche a livello universitario a impiegati e commercianti, e di tutte le età, anche ragazzi.

Oltre il primo spazio, retrostante l’ingresso di fortuna, invaso anch’esso da erbe e da attraversare con cautela a causa dei dislivelli, si entra in ciò che resta della chiesa. Sembra che questo resto non sia tutto l’edificio originario, ora crollato, sebbene abbia una sua compiutezza; dopo il crollo della facciata e della navata, sarebbe allora la parte presbiteriale con i resti del pavimento di maiolica settecentesca.

Sulla volta in sommità di navata si conserva qualche affresco, raffigurante la Visione di San Guglielmo; a partire dal pavimento, l’umidità sale e divora intonaci e muri; nelle due nicchie laterali all’altare maggiore, restano due santi di cartapesta a dimensione quasi naturale, che potrebbero essere restaurati; la parte anteriore bassa dell’altare manca perché è stata trafugata, s’intuisce che il disegno nel marmo fosse di pregio. Degrado, e affreschi sul punto della distruzione totale; da sinistra prendiamo una scala, ne saliremo e scenderemo diverse, sono numerose le scale in pietra o marmo che portano per i piani dell’edificio, e ognuna è accuratamente costruita entro solide arcate, o anche volte a crociera. Mentre il piano terra è in prevalenza strutturato ad arco e volta, anche in considerazione del peso da sopportare, il primo piano porta numerosi, luminosi, ariosi ambienti, con soffitti ricostruiti ad assi di legno o con recupero di antiche tele, controsoffittature a pregevoli decorazioni, spesso sfasciate dal tempo e dell’acqua, a volte miracolosamente ancora in opera, in alto, e a volte tristemente a terra, assieme alla complicata tessitura di legno ormai tarlata e fradicia, su cui dovevano appoggiare.

Al primo piano, il lungo ampio corridoio segue in parte tutta la superficie esterna del convento, con stanze sul cortile, in parte segue il cortile, affacciando su di esso, e le stanze sono sull’esterno. Il corridoio a primo piano anch’esso è ad arcate, in parte del tutto ricostruite pazientemente con mattoncini in cotto, mentre le stanze sono piuttosto grandi e ariose ma il soffitto è ricostruito in assi di legno.

Si comprende meglio, visitandole, la notizia che il Convento, costruito su una chiesa già presente in notizia del 955, poi venne in possesso dei Benedettini Verginiani (dal Santuario di Montevergine, esso stesso del XII secolo) fosse nel Medioevo Ospedale dei Poveri, a quanto sembra istituito da Federico II (1220) e secondo in Italia dopo l’ospedale romano di Santo Spirito.

Il luogo difatti, così come doveva essere posto relativamente alla città di quel tempo (l’unica raffigurazione è posteriore, circa del 1723), ma sempre leggermente in alto, doveva essere salutare e confortevole per chi ne abbisognasse per cause di salute e non solo per la vita dei monaci.[1]

Il grande cortile interno in particolare, sposandosi con la maestosa grandezza semplice e lineare dell’edificio, che sorprende chi sia uso a guardarlo dall’esterno, esalta un ambiente di grande bellezza e favorevole al raccoglimento, nonostante la proliferazione delle erbe ormai alte e la difficoltà ad attraversarlo o a porsi in punti centrali.

In particolare, mentre il fianco a Est è ricavato, con parte di quello a Nord, dallo sbancamento della roccia e quindi quasi a ridosso della collina del Parco, le finestre e le terrazze opposte danno vista dell’Occidente, a un panorama di struggente bellezza, Agro e Vesuvio inclusi.

Ridiscendiamo dopo un po’ di tempo con un gruppo impensabilmente serio e numeroso, nonostante il maltempo. Ci si ripromette di tornare a visitare il complesso in condizioni climatiche più favorevoli. L’architetto Di Sessa è sempre ben disposto ad accompagnarci ed istruirci, se le autorità competenti ne daranno autorizzazione.

Viviamo tra le meraviglie e i monumenti del passato, tra degrado e sporcizia. Riusciremo a porre qualche rimedio? Anche a dare una mano per riproporre al pubblico i monumenti presenti nel quartiere? Il Comitato di Quartiere di Via Solimena nasce per questo. Il gruppo ha voci diverse ma non contrastanti. Io le vedo insieme, se riusciamo a muoverci di comune accordo possiamo pesare sul futuro del nostro quartiere sotto la collina. Riusciremo ad avere una parte, se necessario, perché i lavori di completamento di San Giovanni siano effettuati?

Qui nel Borgo io non mi sono mai sentito appartato o escluso, piuttosto so di trovarmi accanto a via Napoli come a una delle grandi arterie della storia europea, da millenni.

Questi monumenti stanno a testimoniarlo. Assieme al compito di ripulire e risanare il Borgo, vogliamo anche riviverlo, e proporre, in accordo con la maggior parte, un modo di riviverlo.

Davvero molto strano che tutti questi maestosi palazzi facciano parte della nostra respirazione quotidiana, eppure finora ce ne siamo tagliati fuori. Grazie a chi sta dando una mano pensando ad avvicinarci in concreto ai monumenti.

 

[1] Riporta Wikipedia che il convento già verginiano “nel 1716 divenne abbazia dipendente da Montevergine. Tra il 1740 ed il 1759 fu completamente rifatto da Monsignor Nicola Letizia, già abate di Montevergine, che completò il chiostro dopo lo sbancamento del fianco occidentale della collina del Parco. Dopo le alienazioni di primo Ottocento (soppressione dei monasteri del 1807), fu acquistato da Costantino Amato, padre del letterato Saverio Costantino Amato, che vi ospitò nel 1815 Murat fuggiasco.”

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