a cura dell’associazione “Gtango” di Salerno.
Ormai si balla il tango argentino ovunque. Sono molti coloro che lo apprendono. Il “villaggio globale” dei media e della pubblicità lo ha diffuso anche agli antipodi dell’ Argentina. Il tango, si sente dire, è un “ballo sensuale”: cosa vuol dire? Senza indulgere all’indubbio lato erotico del tango, direi che anzitutto in generale esso rappresenti ed esprima sensi, corpo e passioni con le sue figure e i suoi passi.
1. L’occasione e la pratica del tango argentino mi hanno portato, oltre che a rimettermi in discussione, anche a compiere un viaggio nel pensiero, riconsiderando i punti di partenza della nostra cultura ufficiale, cioè filosofica, e la originaria separazione, in essa, del pensiero dalle emozioni-passioni, ma soprattutto dal corpo. Eraclito e Parmenide (VI sec. a. C.) iniziano il nostro pensiero con la grande immagine degli svegli (i filosofi che diffidano della sensazione e seguono il logos) e dei dormienti (il senso comune che si abbandona alla sensazione, a ciò che è e non è). Platone, uno dei padri della nostra mentalità (V-IV secolo), nel celebre Convito afferma certamente che la sfera delle passioni, senza di cui l’uomo non può volare, impersonata da eros, è connessa al corpo: anzi il primo gradino della scala della passione erotica consiste proprio nell’amore della bellezza dei corpi (poi delle anime, delle attività umane e delle leggi; poi della conoscenza; infine del bello-in-sé: 210 a-b, tr. it. a cura di G. Reale, in Tutti gli scritti, ed. Rusconi, Milano, 1992, pp. 516-18). Platone dunque connette il corpo alla sfera delle passioni, e le passioni sono anche relative ai gradi più alti della scala, a cui esse portano; ma corpo e gradi alti appaiono separati, e posti entro uno schema verticale, come è noto. L’eros per il bello-in-sé è nobile, quello per i corpi lo è molto meno. Nel Filebo, un dialogo di carattere etico, i piaceri “puri” che appaiono in basso nel catalogo platonico dei beni sono dell’anima, sebbene si ammetta che alcuni includano sensazioni; ma si assimilano gli uomini che prediligono il piacere corporeo agli animali, con evidente svalutazione della corporeità degli uomini (67b, in Op. cit., pp. 475-76).
Platone separa l’anima dal corpo pur ammettendo che la passione erotica consente di pervenire ai gradi più alti della conoscenza, e apre così la strada a certe versioni del cristianesimo medioevale. Descartes ricerca il criterio dell’evidenza nella separazione, all’interno della dimensione dell’anima (res cogitans), della sfera delle passioni da quella del pensare chiaro e distinto. Egli sa bene che tra i pensieri dell’anima includiamo anche “le sue passioni” (Le passioni dell’anima, 1649, tr. it. UTET, Torino 1969, p. 716). Ma l’anima “è interamente distinta dal corpo” (Il discorso del metodo, 1637, Op. cit., p. 155). Pertanto si apre il problema molto cartesiano della spiegazione filosofica della relazione corpo-anima, visto che le passioni e le idee, sebbene siano dell’anima con ogni evidenza, agiscono e interagiscono con il corpo.
Se la cultura filosofica ha separato in qualche modo corpo e mente, il senso comune a lungo ha considerato come primario il corpo. La cultura “ufficiale” si è prima imposta come il pensare di una minoranza, poi divenendo mentalità e senso comune. Ma la danza c’è sempre stata, le passioni esistono da sempre e ovunque; e tuttavia con il prevalere del platonismo e del cristianesimo il corpo, con la sessualità e le passioni connesse, sono passati in secondo piano (àgape invece di eros ). Il rapporto emozioni-passioni/pensiero, o evidenza delle idee chiare e distinte, si rovescia verso il Novecento. Non più la mente ospita le passioni, ma le passioni costituiscono la mente e sono sempre accompagnate da un quanto di pensiero; questo è uno degli ultimi elementi di riflessione che la cultura psicoanalitica, studiando la mente, ci ha lasciato (Freud e poi Matte Blanco). E anche Nietzsche poco prima di Freud aveva guardato in se stesso e aveva concluso:
“Mi diede profondo spavento trovare, ogni volta che scavavo in me stesso, solo
passioni …” (Fr. Postumi 1884-5; tr. it. in Opere, VII/3, Adelphi 19902. p. 350). Il filosofo tedesco non vedeva qualcosa di diverso da Platone e Descartes: cioè vedeva tutto. Ma il grande pensiero prende le mosse dall’adozione e dalla costruzione di un grande punto di vista. Dunque le passioni sono costitutive della mente e danno il senso della reale unità psicofisica dell’individuo. E il corpo le veicola e le esprime; si verifica il ritorno “ufficiale”del corpo, con le passioni, nel pensiero occidentale, almeno come “circolarità” corpo-mente in fenomeno: tutto ciò che mi vien dato, allorché sperimento me stesso, è il circolo corpo-mente, e non la loro separazione.
2. Attaverso questi “segnavia” del nostro pensiero, ritorna “ufficialmente” il corpo. L’orizzontalità delle componenti dell’esistenza è un dato di fatto. È “ufficiale” oggi, dunque, tutto ciò che, come la danza, attraverso il corpo porta in visibilità ciò che non si vede. In particolare, si crea e poi si “scopre” il tango argentino, una danza dalla storia dapprima “nera”, poi sublimata e resa più adatta a effetti estetici, spettacolari, secondo tutti i mezzi di espressione artistica. L’esperienza del tango argentino può essere una specie di rivelazione, perché, forse meglio che in altri tipi di ballo a me noti, qui viene in evidenza la stretta connessione tra ballo, corpo e passioni, in relazione a motivi portanti del nostro pensiero “ufficiale” – emerge, nonostante le grosse difficoltà di apprendimento che la maggior parte incontra, come un aspetto del prendere corpo – è il caso di dire – della personalità nella cultura del ballo.
Per “esistenza” intendo l’essere nel mondo, portatore di un progetto e connotato da una situazione emotiva: sfera terrena del corpo e delle passioni, singolare circolarità corpo-mente gettata nel mondo.
Vorrei premettere che gli elementi del tango argentino da me isolati sono in larga misura propri del ballo in coppia, in generale. Ma tutti ricorrono in modo forte nel tango argentino, e alcuni sono propri di esso.
Che cosa, dunque, nella mia esperienza del tango argentino, mi ha fatto pensare a questo ballo come immagine forte dell’esistenza?
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Si raccomanda dagli inizi la frontalità dei ballerini e si insiste su questo atteggiamento. La posizione del confrontarsi è quella dello stare di fronte. Il tango si può ballare, a leggera distanza (tango nuevo), o anche, meglio, a contatto della parte superiore del corpo (tango milonghero) – guancia a guancia; o viso a viso. Qui, dal punto di vista tecnico, eseguire il ballo di fronte facilita le cose, se si è spostati spesso le complica, con eccezioni. Nella sfera della passioni rientra l’atteggiamento dell’abbraccio. Ma l’immagine ha in generale una evidente rilevanza etica ed esistenziale. Di solito il rapporto interpersonale quanto più è stretto, tanto più esige che i due si con-frontino. Il con-fronto esige il porsi di fronte. Questo non vuol dire che il confronto sia leale o pacifico, s’intende. Né che debba sempre essere un confronto tra maschile e femminile .
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Un elemento notevole è poi la necessità della guida. L’uno, nella coppia, guida l’altro. E’ noto a chi balla – l’uno propone, l’altro segue. Si insegna, in generale, che l’uomo guida. Non dico che nella vita ciò dovrebbe essere: ma diciamo che è un fatto che, nella vita, ci siano ciò che chiamiamo il guidare e il seguire. Ma la determinazione di chi guida e di chi segue è relativa alle circostanze e alle persone. In questo caso parlo dunque di ciò che perlopiù avviene, in una dimensione fenomenologico-descrittiva. S’intende che anche nel ballo vi sono eccezioni. In qualche caso è la donna a guidare. Ma anche guidare richiede doti che la tradizione attribuisce per eccellenza al femminile, come la sensibilità. Chi guida, comunque, deve saper guidare. E, siccome il tango è creativo e non ripetitivo, deve far capire in ogni momento le sue intenzioni. Per farsi capire, nel tango, da (quasi) tutte sui fondamenti, come p. e. l’incrocio sul “5”, l’otto all’indietro o l’otto in avanti, occorre spesso molto tempo di lavoro. Sembra semplice: in realtà c’è il problema di farsi capire senza equivoco. Il problema è anzitutto di chi guida, si dice che la responsabilità è sua.
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Ma è necessario anche seguire. Segue chi guida, che deve saper “ascoltare” col corpo, nel senso di sapere dove l’altro si trova e soprattutto dov’è l’altro in quel momento: se chi guida non sa, soprattutto, su quale gamba la donna “deve avere” cioè portare il proprio peso in quel momento, è facilmente intuibile che si rischia una catastrofe. Occorre ascoltare e seguire, non meno che guidare, anche da parte di chi guida. “Sentire il peso” dell’altro, si dice in tanghero. D’altro canto, propriamente, segue chi segue: l’elemento dell’ascolto vigile è essenziale per chi segue: se chi segue non comprende i segni o marche (colla direzione del petto e con la mano destra sulla schiena, soprattutto) di chi guida, non è possibile ballare insieme. Lo stesso avviene se chi segue, invece di attendere il segno o marca di chi guida, lo anticipa: può darsi che chi guida si trovi spiazzato, e allora se è bravo segue a sua volta, altrimenti il ballo insieme fallisce.
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Un senso forse profondo del seguire è suggerito dalla visione della danzatrice, che segue (nello stile “milonguero” ad occhi chiusi. La danza richiama così il destino e il sogno, suggerisce un amico “tanguero”. Chiudere gli occhi, seguire la propria intelligenza del corpo dell’altro, è essenziale, e si potrebbe dire che, quanto più si vigila ad occhi aperti, tanto minore è il coinvolgimento nella dimensione della danza. Ma questa è anche una immagine della vita delle passioni. Nel ballo come nell’esistenza, guardare serve, ma solo in rapporto alla circostanza. Ovvero, tenere gli occhi aperti è per la circostanza dell’ affollamento, non tanto per la definizione del danzare in due. Non serve solo vivere ad occhi aperti, ma in certa misura anche chiuderli, abbandonandosi. Qui, a differenza che in Eraclito, sta dormendo chi non coglie il valore della sensibilità e del corpo in generale, e anche chi per caso vede può ben agire da cieco: perché il vedere e il non vedere di cui si parla non sono per l’occhio. Un cattivo ballerino possiede, in genere, l’uso della vista; ma vedere bene qui vuol dire che in qualche caso si deve seguire fiducia e passione: seguire ciò che si sente.
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Si direbbe che “per guidare occorre seguire”. Torna anche la dimensione orientale del pensiero nella danza, come precetto conforme e attribuito al venerabile taoismo (V sec. a. C.); ci si trova qui in una dimensione della cultura universale, e non solo orientale, ovvero occidentale-argentina. Seguire le regole, stabilire ruoli che possono essere scambievoli, come in ogni gioco che si rispetti. Le stesse emozioni, la stessa “sensibilità d’animo”, sono universali. Ma anche società ed esistenza rientrano in questo ambito. E per il ballo, come per l’esistenza, ci sono regole da seguire. Di quale seguire e di quale guidare si tratta? Le regole possono essere buone o cattive: occorre discernere. Vorrei menzionare qui, ad esempio, il celebre quadro di Pieter Bruegel (XVI sec.) sui ciechi che guidano altri ciechi. Figura o metafora dell’esistenza, anche questa: dice la stessa cosa che il tango, ma quasi per assurdo, o anche per ironia. Non vuol dire che non si debba guidare, o seguire. Ma occorre farlo bene. Difatti, se per assurdo si segue ciecamente un cieco, si finisce nel fosso, con lui. Ma Bruegel dice che l’assurdo avviene ogni giorno. Ognuno segue gli altri, fa come loro e, poiché così fan tutti, così va il mondo. Il dipinto è crudo, ma realistico. Il tango argentino è un ballo difficile ed è una metafora o immagine dell’esistenza perché nel tango come nell’esistenza noi diciamo che c’è qualcosa o qualcuno da seguire: occorre ben “vedere” o “sentire” reciprocamente. Per render giustizia ai non vedenti, comunque, qui non è questione di occhio fisico: infatti esso può non servire. La danzatrice (e anche, si è detto, in certa misura, il danzatore) segue l’altro ad occhi chiusi.
Il tango argentino è un momento eccezionale di comunicazione e, se ballato a un certo livello, di creatività. Non un modo ma tanti modi di ballare un “giro”, perché ognuno, in ogni momento, è diverso. Imprevedibile ballo. Se informo una donna sulla prossima figura, lei mi risponde: non devo saperlo, devo capirlo al momento. Si comunica la propria personalità. Praticando il tango argentino sappiamo come l’altro ragiona col corpo: dunque sappiamo come l’altro è. Difficile fingere.
Chi è in ballo deve comunque ballare; ma chi balla bene di solito viene preferito, come in esistenza, nelle altre dimensioni – dobbiamo, per ballare con lei o con lui, sapere che chi ci accompagna è affidabile. E, se possibile, anche molto compatibile; ma questo è qualcosa di più. Se siamo affidabili qualcuno sempre balla con noi; se siamo anche compatibili si fa molto di più, fino all’esistenza associata come capolavoro, come opera d’arte. Ma essere affidabili, ancora una volta, non può voler dire l’essere in una sola dimensione d’esistenza, bensì l’essere a tutto tondo, e in tutte o molte dimensioni. Nel ballo l’esperienza è dunque “sensuale”, e perciò anche mentale, cioè completa: dei sensi, del corpo e della mente, dell’altro e di se stessi; esperienza di ragione e di passione, insieme.
Per tutti questi motivi il tango argentino mi sembra figurare l’esistenza.