Nocera Inferiore, 18 novembre 2016
Schema del terzo intervento tenuto alla Biblioteca Comunale
nel quadro dell’iniziativa “Attraverso filosofia e psicologia: la dipendenza”
“Dipendenza e/o felicità”
A) Come definire la felicità? E quale collegamento vi può essere con la dipendenza?
Provo a non parlare di cose che non so ma soltanto di cose che credo di conoscere e che possano sapere anche altri, e a parlarne in modo accessibile.
1) Così Epicuro, un antico pensatore che mi sembra molto credibile, e la cui definizione non contrasta con altre che credo di sapere e che mi persuadono:
La felicità è quello stato in cui ci si trova quando il dolore diminuisce e diventa impercettibile.
Come si vede, è una definizione negativa, ma concorda con la cessazione temporanea del male, in generale.
2) Potrei proporre qualcosa in più? Forse questa:
La felicità concorda con quegli stati in cui ci troviamo a volte, in cui il nostro circolo di relazione con noi stessi, persone e cose, ciò che io stesso sono, si trova illuminato di una nitida precisione, di una luce insolita. Una lieve immobilità, o un movimento lieve di straordinario ben-essere. Non si tratta di gioia, è evidente: è uno stato pacato, tranquillo. Gioia violenta, esplosiva; felicità pacata, calma. Come la gioia, la felicità così definita si offre per durate limitate nel tempo, ma è di qualità differente.
Ma, che io sappia, dura poco; qualcuno ha riscontri di questo nella propria esperienza? Io ho domandato ad altri, e ho trovato che qualcuno credeva di poter condividere l’esperienza con me, credeva di riconoscerla.
Non so se possa durare più a lungo, o per sempre, come qualcuno dice. La felicità dovrebbe essere qualcosa di duraturo? Azzardo: la felicità ci si dà come stati passeggeri ma potrebbe anche durare? La letteratura parla anche di questo ma non solo.
B) Cosa ha a che fare questo stato, posto che lo si possa condividere, con la dipendenza? E quindi con la libertà, che è l’opposto della dipendenza?
Dipendere – rammento – è uno stato della relazione, relazione che è centrale nella nostra esistenza e la colora; dipendere è uno stato infelice, perché la dipendenza è stato non autonomo ma subordinato. Ma è evidente che tale subordinazione è della mente, che è corpo, ma in un modo autonomo. Difatti,
1) Può darsi felicità nell’assoggettamento, in stato di cattività o malattia?
L’esperienza descritta nella letteratura: Borges, La scrittura del dio o Il miracolo segreto. la felicità nella prigione. Borges racconta che anche nello stato della prigionia, o nell’istante in cui si viene uccisi, può darsi la felicità come istante perfetto, compimento. Ciò può essere, ma si direbbe che si tratta di un’esperienza da mistici, che per sua natura è nascosta alla maggior parte e si raggiunge solo nella singolarità. Ma forse è proprio così. Provoco: la scienza forse non può saperlo. Forse si tratta di un’esperienza da mistici, che per sua natura è nascosta alla maggior parte e si raggiunge solo nella singolarità. O potrei citare i pensatori stoici come Epitteto. E allora è un’esperienza da stoici. Ma può essere, anzi è, così.
Gli esempi che offro tendono a mostrare come persino negli stati di prigionia può non esservi dipendenza, mentre aggiungo che anche allo stato cosiddetto libero la dipendenza può esservi. Ne parlano gli amici psicoterapeuti: dipendenza da sostanze, per esempio.
Se la felicità è uno stato della mente, felicità non è mai dipendenza della mente, ma può darsi anche nello stato di assoggettamento del corpo/mente.
Dunque felicità non è mai dipendenza.
Ma allora è libertà.
Cosa è essere liberi? Essere liberi in questo senso è fruire (senza averla appresa) della possibilità di vedere e saper osservare se stessi, le cose, gli altri, in un modo del tutto nuovo e preciso: vedere. Questo non si dà per periodi ma a momenti.
Può essere libero anche chi è in prigione, può essere dipendente e non libero anche chi è in apparenza libero.
2) Se la dipendenza è uno stato della mente, non può darsi felicità senza libertà e dunque non può darsi felicità in stato di dipendenza.
Tuttavia lo stato di felicità non si offre solo all’uomo in buone condizioni fisiche, o in condizioni eccellenti della vita, e che non manchi di nulla: tale esperienza si può offrire anche al prigioniero, a chi versi nelle più umili e indigenti condizioni di vita, per una sorta di dono che ci viene offerto, e anche questo è un fatto di cui v’è testimonianza.
Ciò non toglie che, in generale, sia preferibile per la possibilità della felicità la condizione dell’uomo libero e in salute. Ma questa non è di per sé né necessaria né sufficiente: l’uomo è e resta viandante e pellegrino.