Il 6 maggio 2015
Liceo "Parmenide" di Vallo della Lucania
Carlo Di Legge alla sala multimediale del Comune di Vallo della Lucania in dialogo con i docenti i filosofia Proff. Carmen Desiderio, Lucia Giacinta Ruocco, Nazario Sagaria, la prof. Santa Aiello (lettere) e gli studenti (classi I) di filosofia del “Parmenide” di Vallo della Lucania. Breve presentazione del prof. Nazario Sagaria (Pedagogia e scienze d. educazione – Liceo scienze umane “Parmenide”); della dott. ssa Tina Bruno e dott. Cristiano De Cesare (Associazione culturale “Biblioteca Edith Stein” – Vallo della Lucania).
Cos’è l’ontologia? Si tratta del discorso sull’ “essente” o anche (sebbene nel linguaggio filosofico contemporano e antico vi siano differenze) sull’ “essere”. Il discorso sull’essere viene iniziato in quanto tale, com'è noto, da Parmenide di Elea. Il discorso più articolato su “cosa è l’essere” viene poi in evidenza con la riflessione di Platone e di Aristotele. Perché un mondo “sia” per noi è necessario dire “cosa” e “come” sia. Un “mondo” è retto da un ordine, che si presenta appunto come kósmos. In mancanza, non resta che un kàos, l’abisso esiodeo (Teogonia).
L’ordine del mondo viene garantito e strutturato dalla maniera di presentare tale ordine, che il pensante ha trovato.
Tale maniera di presentare l’ordine del mondo è l’essere nelle sue versioni: idee, oppure atomi/vuoto, ecc. Il discorso sull’essere del mondo risponde alla domanda: che cosa è l’essere del mondo? E si risponderà: l’essere del mondo è dato dall’idea; l’essere del mondo è dato dall’atomo corporeo ma invisibile; e così via.
Ci sono tanti modi di vedere e raccontare l’essere del mondo, quanti sono i filosofi. Questo è propriamente il discorso ontologico, ovvero l’ontologia. La questione posta dal relatore, tuttavia, si presenta come una variante dell’ontologia, che deriva da quella, e consiste nella risposta alla domanda: “a quali condizioni un mondo ha un significato per gli umani?”. Pertanto l’ontologia come discorso sull’essere viene detta ontologia prima e la domanda “a quali condizioni un mondo ha un significato per gli umani?” concerne l’ontologia seconda: quale sarà il significato che io, donna o uomo, attribuisco al mondo?
La direzione che assume il discorso, con la lettura, offerta ad esempio, di due poesie, una di Neruda e una di Nordbrandt, (ma l’indicazione è che si potrebbe indagare nella vita di qualunque uomo, per quanto scienziato o politico, e nel senso che egli attribuisce alla propria vita) è che il senso del mio mondo, del mondo umano, viene offerto dalle emozioni. Queste nel loro presentarsi alla mia mente (di cui sono costitutive) appaiono tessute di razionalità: dunque la ragione è “in fenomeno” ovvero appare parte dell’emozione, e non è certo dominatrice dell’emozione, quanto piuttosto diretta da quella. Che il mondo della ragione sia parte (piccola) del mondo dell’emozione è posto in evidenza, se non da Platone, almeno da Freud. Che la filosofia o la stessa psicoanalisi si ostinino in molti casi a pensare diversamente è quanto meno strano. Ma, certo, pensare che il pensiero razionale sia dominante e quello emotivo sia subordinato appare un nostro possibile errore di prospettiva o punto di vista, come pensare che sia il sole a girare intorno alla terra e non viceversa.
Ora, l’etica è storicamente il discorso filosofico sull’agire (privato, nella vita dell’individuo: non quello nella pólis, quello pubblico) secondo verità. Se le cose stanno in questo modo, come nei due precedenti capoversi, come bisogna intendere l’ “agire secondo verità” nel campo etico?
La possibile risposta è: l’ agire secondo verità bisogna che venga inteso come l’agire secondo le emozioni o passioni, perché queste sono la verità del mondo umano, segnano il costellarsi del mondo umano attraverso immagini e significati delle immagini per noi.
Ciò non vuol dire, ovviamente, che ognuno venga perciò autorizzato ad agire secondo quel che l’emozione al momento gli suggerirebbe; in tal caso il mondo potrebb’essere, ancora, non un mondo ma un kàos; e spesso lo è, come si evince facilmente dall’ascolto (attento, critico) di qualsiasi notiziario; ma vuol dire che, perché tutti possiamo vivere insieme in un mondo comune, le mie emozioni vanno confrontate con le emozioni degli altri, e che questo è possibile in emozione e in lógos, insieme – se non nella razionalità pura (che, seppure fosse, si presterebbe ai peggiori eccessi), almeno in ambito di ragionevolezza, in quel residuo utile di lógos da cui l’emozione si presenta sempre, come s’è già detto, presto o tardi, accompagnata; e questa indicazione implica la possibilità (ma anche in molti casi la necessità) del passaggio, il continuo transito nei due sensi, la frontiera di continuo percorsa tra la dimensione etica e quella politica del pensiero e dell’azione.