Cara a, come amica: ti considero tale anche se dividiamo soltanto la comune attrazione per il tango argentino. Peraltro, solo trovandoci per caso di fronte, insieme a comuni amici, ci siamo sentiti costretti a salutarci. Ma anche questo è passato.
In questi anni ho compreso che il Tango lo si può incontrare molto bene con una principiante, purché sappia danzare camminando, e qualche volta per nulla con una esperta. Perché il Tango, quello vero, presuppone anche l'arte di ascoltare; e invece giochi strani di potere tra le persone vengono fatti passare per il tango, attraverso il tango.
Il tango-passione, come ogni passione, contiene di tutto. Ma bisogna fare così: in milonga, nel momento decisivo, scegliere chi sappiamo che desidera ballare con noi, e provare con chi non sappiamo, perché l'abbraccio ha i suoi canali, le sue vie imprevedibili. Oppure niente, si guarda: solo in questo modo potremo condividere il piacere dell'abbraccio intimo, intenso, improvvisato.
Si sente subito quando una persona prova il piacere di ballare con te, e te lo offre: te lo fa provare, te lo restituisce. Peraltro mi è accaduto, tante volte, di ballare male senza volere; a qualcuna, molto sensibile, è successo di ritrarsi a causa di quel malessere che al momento era mio, e che le davo: non ne aveva bisogno, voleva intendere (qualcuna me l'ha anche detto). Ed era giusto così.
Ma con te, amica, mi è successa una cosa del tutto diversa da queste, che ritengo esemplare: non sei riuscita a ballare con me, e ritengo che per te fosse la cosa più giusta rifiutare, perché tu veramente non riuscivi. Ti ho scritto anni fa per la prima volta, poi ho continuato a vederti per qualche tempo, infine sei scomparsa dalle milonghe: adesso è la fine del 2010 e la lettera mi sembra sia vera, come allora: non la cambierei.
Ti osservavo, e mi sembrava che, nonostante la tua disinvoltura nei rapporti (verso tutti gli altri, s'intende), tu portassi qualcosa di triste nelle milonghe, sotto la luna, dove la tua giovinezza si perde e sfuma. Che m'importa? Questo: credo che per te il tango sia qualcosa di vero.
La tua tristezza, che gli altri in te forse non vedono, in me genera simpatia (cioè avverto come un modo di sentire comune a noi due) verso di te, sebbene di te non sappia nulla.
Difatti ti conosco solo sotto l'aspetto della ritrosia e del rifiuto: dell'ombra. Sono stato da te privilegiato – in negativo: non sei riuscita a ballare con me, ad abbracciarmi. Se ti chiamo amica, non è perché il sentimento sia condiviso – si tratta solo, come diciamo, di amicizia virtuale. Ma vedo certe cose in te, ed è come fossero in me.
In questi anni ho avuto tanti rifiuti, è la regola. Ma il tuo non mi sembra un rifiuto qualunque. Non sembra dettato da presunzione, da superficialità, da qualche aspetto di te che io possa disprezzare.
Ricordo una delle volte in cui abbiamo ballato insieme: succede, durante il tango, di guardare l'altro in viso. Ma tu, sentendoti guardata, hai aperto gli occhi – erano chiusi, come per la ballerina di tango che si rispetti – e ti sei subito spenta nel mio abbraccio, come se il mio sguardo ti potesse sottrarre qualcosa che tu non volevi concedermi, qualcosa oltre l'abbraccio. Tu non potevi ricambiare il mio sguardo!
Era veramente magico questo tuo sentire, per cui provavi su di te il mio sguardo, ma per te era qualcosa di intollerabile che ti si sorprendesse a occhi chiusi, me lo facesti sentire come indiscreto, come un furto della tua intimità (ma non volevo questo: volevo invece trasmettere e scambiare, con lo sguardo, il piacere del ballo insieme).
E quell'altra volta, a casa di comuni amici, dove si parlava e si ballava, tu parlavi ad alta voce, sembravi molto sicura di te e così ti invitai, per rompere infine l'incantesimo e per esprimerti che provavo solo simpatia per te; ma tu rifiutasti – fu l'ultima volta – e mi dicesti finalmente, quasi a scusare te e me, che tanto sapevi di non riuscirci, ed era quindi inutile tentare.
So che qualcosa d'importante ci accomuna: allora, cosa importa se abbiamo o no abbracci di tango, dal momento che di te "so" qualcosa di importante e di corrispondente? Un segreto forse, o forse è nel futuro? O in un passato che non ricordo?
Coloro con cui balli sanno il tuo abbraccio ma chissà se lo leggono. Con me invece, con cui hai ballato forse due volte e mai più, con cui credo tu neanche abbia voglia di parlare, mi pare non vi siano segreti, perché in qualcosa di essenziale sappiamo. Perciò non m'importa del fatto che non abbiamo ballato più, dopo le prime occasioni; che non c'incontriamo e che neanche ci salutiamo.
Ma forse sei là, potrei trovarti anche stanotte, mio alter ego, immaginato al femminile.
Un'altra cosa: il tuo rifiuto, che mi ha messo alla prova, l'ho scelto come diverso da tanti altri. Esso mi ha insegnato, più di ogni altro rifiuto, che la donazione di sé nel tango è libera e quindi comporta la possibilità che donazione non vi sia: ci si può rifiutare.
Molti infatti rifiutano il rifiuto, diminuendo e rifiutando, a loro volta, la persona che lo oppone. Io lo faccio nella gran parte dei casi. E questo può essere, cioè può esserci un rifiuto da non prendere in considerazione, perché in quel rifiuto non c'è proprio nulla di considerevole rispetto al tango.
Ma credo che per te non fosse così, come ho detto.
Tu non riuscivi ad accettarmi: è stata una prova per me, come uno specchio che mi mostrava a me stesso perché potessi apprendere il rifiuto.
Non lo credo veramente, ma, finché viviamo, potremmo incontrarci in altra circostanza, e scoprire di avere qualcosa di cui parlare.
La tua malinconia mi attira, la tua tristezza è mia. La tua singolare bellezza lotta con le settimane spietate.
E tutto questo l'ho trovato nel tango. Tu, amica vicina e distante, paradossale, sei il tango argentino. E me stesso.
Pubblicata in Sentire il tango argentino - Ed. orientexpress, Napoli, marzo 2011