Queste sono le mie originarie sette lettere sul sentire il tango argentino, che dedico a Sabrina Amato e a Marcelo Alvarez, e ai miei amici e maestri dell’associazione Gtango di Salerno. Alle prime sette lettere se ne sono aggiunte tre, di tono del tutto diverso, suggerite dall’aver vissuto un po’ di più il tango e la vita, di cui due occasionate dall’incontro con un’altra autrice tanguera, cui sono rivolte.
Ho scritto ovunque: andando di notte a Napoli alle milonghe, in una mattinata di sole invernale nel Parque Natural di Buenos Aires, sull’Oceano, oltre Puerto Madero, e infine nelle notti tra Natale e Capodanno 2010, nella mia casa.
Vorrei che ognuna di quelle mie dieci lettere e una poesia fosse come un giro di tango: improvvisata, intensa, intima. E certamente quando nacquero – era il luglio del 2006 – erano improvvisate, poi le ho riscritte di continuo, o rifatte, e ancora tormentate, fino a oggi.
Ma soprattutto: niente retorica.
A tutti i tangueri che conosco e non conosco, e perfino ai falsi maestri, perché, in qualsiasi modo, mi hanno insegnato qualcosa del tango argentino. Alla genuina simpatia di Pedro Bonavente, al secolo el Indio. Ai ragazzi in carriera di tango, che ho seguito con attenzione e affetto quasi dai primi passi, come Virginia e Gianpiero, ma anche ai simpatici e bravi Anabella e Mario, alla mancata cena a Buenos Aires, agli amici Mercedes e Rogelio, augurando loro fortuna. All’ospitalità e all’accoglienza degli amici gestori di milonga, ai capiscuola e ai maestri seri, nel napoletano e altrove; ai maestriragazzi del DNI di Buenos Aires, bravi e spesso affettuosi come sanno i sudamericani; agli amici di buon senso, persone d’equilibrio e bravi ballerini, come Dina e Donato, Paola e Leonardo, Veronica e Salvatore. Alla città di Buenos Aires, con immenso affetto, rispetto e nostalgia. A ogni donna che mi ha abbracciato, ascoltandomi con attenzione, dicendomi qualcosa di sé senza parlare. Anche a chi mi ha rifiutato: fa parte del gioco, è come la vita. È il tango.