Caro Francesco, ti scrivo di ritorno da questo viaggio a Buenos Aires. Laggiù ero un po' più occupato a vivere e ad esplorare che a scrivere. Soprattutto volevo sapere perché veramente ero venuto così lontano.
Ho concluso che era il desiderio di conoscere più a fondo il tango, che tanto mi ha coinvolto negli ultimi anni, e me stesso insieme, ovviamente. Che il tango fosse difficile, lo sapevo. Perfino l'indagine su come e dove è nato, non trova risposta decisiva – molto tempo è trascorso, molte cose sono accadute ... Ma anche questo sapevo, e alle tesi sulla nascita del tango hanno già pensato, le conosco.
Mi domandavo: quando nacque il tango, la città com'era, e cosa rappresentò il tango, per quegli antenati? Per rispondere dovevo cercare di seguire un pensiero nutrito di sensazioni e sentimenti – cercare di dimenticare quel che credevo di sapere.
Così il giorno di ferragosto mi sono fatto accompagnare da un conversevole tassista – molto sudamericano – a un vecchio ponte, che, come lui diceva, divide e congiunge la città (che tiene molto alla distinzione) dalla provincia. Tra il ponte e via Caminito si apre l'antico porto della città, ora pressoché abbandonato. Alla fine del vecchio quartiere il fiume termina nel Mar della Plata. Caminito è, con la Boca e Sant'Elmo, barrio de Tango per eccellenza: per estensione della via omonima, è detto Caminito anche uno stretto triangolo – uno dei lati è appunto la via – colorato e pieno di turisti, del tutto dedicato, senza misteri, al commercio del tango, come alcune milonghe del centro, con qualche momento di buon gusto.
Ma il vecchio porto dalle acque sporche, con qualche nave rugginosa e in secco, rende forse di più la tristezza del passato, e il peso degli emigranti, padri del tango, che da tutto il mondo vennero qui a fine Ottocento. Il tango argentino resta la loro creazione più forte e duratura. Adesso la città è un immenso laboratorio di tango, un tango-lab, per dirla con l'estroso amico Indio. (Dopo il periodo della giunta militare che ha ostacolato il tango – considerato eversivo – adesso rifiorisce, e molto, e lo praticano anche i giovani).
Venendo in aereo avevo notato che qui di notte il cielo muta i riferimenti stellati – questa terra dové sembrare estranea, come si annuncia anche il cielo, a chi viene dopo tredici ore di volo – e a quel tempo, dopo le traversate?
La lontananza dové sembrare insormontabile come la solitudine – se a me vengono queste sensazioni, a me che dopotutto sono in vacacion de tango, non un emigrante spinto dalla necessità, e in un altro secolo.
Mi sono poi inoltrato, da solo, nelle strade della Boca, uno dei più antichi e malfamati barrios della città. Un uomo anziano da una baracca, giusto all'inizio, mi ha gridato rabbiosamente di non fotografare le navi sfasciate. Per tutta la zona costiera e all'interno – era domenica – lo squallore, il deserto quasi totale tra le case di fortuna, i mattoni forati in vista, senza intonaco, o vecchie e inabitabili eppure con segni di vita. Il tassista mi aveva detto che di notte è pericoloso porché no esta nadie y nada, neanche la polizia, dunque tutto può accadere. Ma anche di giorno, in certi giorni, appare un po' sinistro. Può ben essere, come dice Borges, che il tango sia nato in luoghi di malaffare e di coltello – se questo erano i quartieri portegni.
Dunque, a vedere queste cose, immagino qui i nostri avi alle prese con la distanza dalle radici, che nulla – né la radio né l'elettronica – allora potevano colmare, ma solo qualche lentissima e pericolante lettera, che aveva varcato l'abisso. Ma ne nacque qualcosa di unico, di vivo e mutante, che rimbalzò poi di nuovo qui dalla nostra Europa, in particolare dalla Francia, dov'era stato esportato. È diventato un messaggio universale, un vero patrimonio dell'umanità. E non è, secondo me, la grande immagine della coppia, ma quella del rapporto tra i sessi in tutte le forme e del loro diverso cercarsi: è il rifiuto e l'abbraccio della donna, che offre all'uomo un porto desiderato, ma temporaneo, è l'invito degli uomini, segno incerto, finché le intenzioni e i rapporti non si precisano.
Certamente è Buenos Aires, o fors'anche Montevideo: la sua gente cortese e disponibile, facilmente ironica – la cordialità quasi seduttiva. Le donne che talvolta, anche se ballerine di qualità, ti prendono sul serio e ballano come se tu fossi alla pari e ti seguono, ognuna alla sua maniera, senza che tu senta il divario, tenendo loro testa con il cuore e con i mezzi tecnici che hai. Non sempre? Ma può accadere. S'intende infatti che possono rifiutarsi – l'apertura dei sudamericani non avrebbe difese, altrimenti, contro la malafede e l'incompetenza, e poi ci sono quelli che ballano per la reputazione – anche gli uomini...
Dunque il tango è il messaggio di Buenos Aires al mondo. Donne e uomini di lontanissimi paesi vengono qui perché pensano di comprendere e condividere pensieri e sentimenti di tango, fossero anche di carattere strumentale (lo studio perché ne voglio vivere; perché lo voglio insegnare). È questa terra, così gravemente tradita dalla politica: è la città, finanche il centro ricchissimo e sporco, con i suoi stupefacenti contrasti, tra cui mi sono scelto, a simbolo dei tanti, il clochard seduto sulle soglie dei negozi, davanti alla saracinesca chiusa, che attende il sonno leggendo un libro mentre annotta.
Il tango è la vita con le sue opposizioni abissali. Tutti, dai vecchi decrepiti ai bambini, trovano anche luogo d'esibizione e sale gremite disponibili a vedere. E cose del tutto diverse stanno insieme, nello stesso punto: la grande e altera ballerina, la donna bionda che si dispone per la notte con coperte cuscini e due bambini piccoli, sulla strada davanti alla ricchissima ennesima filiale di Farmacity, è la prostituta che ti viene a cercare parlandoti con voce suadente e amichevole, è l'uomo del bar che si sente guardato da te ed esce per affrontarti, o l'uomo col bambino sotto la pioggia sottile, che ti chiede medicine invece che soldi.
La città e il tango nella mia immagine più che mai restano insieme.
Ricordo ora le notti nella mia terra, di ritorno dal tango – notti d'estate, notti maestose come cattedrali oscure di navate affollate di uccelli chiaroveggenti. Così è anche qui, nella problematica e smisurata città, che sento in parte familiare; ma penso alla via che mi ha portato qui – dove passano cose che non so, ma il mistero è nell'aria, dietro le finestre delle complicate, a volte imponenti architetture delle quadras, gli isolati della città, quadrati costituiti di un numero imprecisato ed eterogeneo di architetture, veramente babelico, ma con una regolarità costante: cento numeri civici per ogni lato.
Buenos Aires, la sua notte e le sue officine di tango, il tango e le sue origini, sono un aumento di umanità per chiunque sia capace di vedere un poco oltre il consumo e restano insieme questo mistero, che avverto. Me stesso laggiù? A Buenos Aires, qualche volta, divertendomi con loro, mi sono sentito bene: molti argentini sono accoglienti e aperti, a volte mi hanno fatto sentire che c'è posto per tutti, a volte pur sapendo sempre che non è la mia terra mi sono sentito a casa.
Perché il tango? Perché sono vivo. Il tango è una mia maniera di vivere, in omaggio a chi mi fece vivere. Venire qui è stato come tornare all'inizio della mia avventura di tango: ho risuscitato il suggestivo, l'incomprensibile.
So che il tango è mistero, so da dove viene: dalla vita.
Buenos Aires, 3-4 settembre 2010
Pubblicata in Sentire il tango argentino, ed. orientexpress, Napoli, marzo 2011