Chiesa e Convento di Sant’Andrea
(Per le foto, v. Galleria, Nocera Inferiore)
Queste introduzioni ai monumenti del parco di Nocera Inferiore, la collina a ridosso del Borgo in cui sono venuto ad abitare, non sono in alcun modo lavori di uno storico, sebbene mi sia occupato di storia da un punto di vista professionale.
Ma qui si tratta di miei percorsi di conoscenza dei luoghi in cui abito, della cui centralità nella storia dell’Occidente sono rimasto sorpreso. Desidero solo parteciparli a chi sia interessato. I riferimenti bibliografici si trovano alla fine.
Sant’Andrea come convento viene fondato da Alfonso Carafa nel 1563. Contiene il sarcofago del duca e la sepoltura della duchessa sua moglie. La storia del convento parte allora, dalla iniziale preesistente cappella, attorno alla quale viene costruito il complesso conventuale.
Il Convento fu assegnato ai frati Minori Francescani, anche chiamati Cappuccini. La loro vicenda, nell’ambito della storia del francescanesimo minorita, inizia a sua volta in quegli anni, nei primi decenni del Cinquecento (1517) a partire dalle dispute degli iniziatori con l’ordine francescano sulla legittimità delle loro motivazioni, vicenda culminata nel riconoscimento da parte del Concilio di Trento (1539).
Come detto, il duca Alfonso Carafa promuove il Convento, lo dota di beni (giardini, suolo, denaro per la prima costruzione), sollecità l’Università (associazione influente dell'epoca, analogo dell’attuale Comune: allora sembra avesse sede all’attuale Piazza Zanardelli) a intervenire e a destinare al Convento la cappella di S. Andrea, già esistente e incorporata; si riserva, per sé e famiglia, una cella per raccogliersi, e una porta da cui accedervi, un ingresso a parte (ne fruiscono poi i frati per far legna). Ne pone la prima pietra. Sembra che, dovendosi modificare gli abiti dei monaci, la stessa duchessa Giovanna ne abbia disegnato i cappucci quadrangolari.
Mentre risalta la dedizione dei Carafa alle opere pie e religiose, dal libro si evidenzia anche il loro cattivo rapporto con il popolo nocerino e con le istituzioni, ovvero l’Università. Questi ultimi difatti godevano di autonomie e prerogative dal tempo degli Aragonesi, e nell’atto di acquisto di Nocera-Pagani da parte dei Carafa era contenuto l’impegno a rispettarle; ma è un fatto che, perché ciò avvenisse, bisognò che l’Università si rivolgesse al Re, del che risultano documenti nel libro (pp. 42-3, p. e.). Si legge che i duchi Carafa, oggetto di continui ricorsi al Sacro Collegio, divennero perciò invisi alla corte napoletana; i frati infine si fecero mediatori tra duca e Università, in modo da pervenire a un’intesa (1644).
In un primo periodo della costruzione si arriva a 15 stanze nel corridoio, a 3 bagni e una cucina, a una sala con biblioteca, comunque ultimate verso il 1650 ca.
I lavori vengono condotti con materiali poveri, pietre ricavate dalla collina, con denaro di benefattori e aiuto materiale, sul terreno, del popolo nocerino. Gli stessi frati costruiscono canali e diverse cisterne, di cui oggi resta traccia, per raccogliere l’acqua piovana e far fronte alle necessità degli uomini e delle piante.
I frati stessi costruirono opere a completamento e perfezionamento del complesso conventuale. Nel tempo, il convento si rese promotore di iniziative a sostegno dei poveri e degli ammalati, conobbe periodi di grande attività e di declino, con le soppressioni di ordini e requisizioni effettuate prima da parte dei francesi e poi dei piemontesi.
Già dal 1700 il Comune o chi per esso deve porsi il problema del mantenimento dei Frati e delle opere del Convento, oppure della sua diversa destinazione. Era un problema, lo fu sempre. Nel 1661 il Comune aveva imposto una tassa, per poter dare ai Conventi nocerini quanto necessario.
D’altra parte, sembra assodato che una turba di bisognosi si riferisse ai Cappuccini di S. Andrea per le elementari necessità quotidiane. Da S. Andrea parte una serie di iniziative sul territorio, con contratti di affitto di sedi-riferimento per le persone bisognose, a Pagani, a Rocca (forse Casali), poi a S. Mauro e Cicalesi, finché, a fine Settecento, questa funzione si estende a tutto l’Agro; del 1790 è l’istituzione, al Convento stesso, della scuola per ragazzi poveri.
In particolare, nei secoli, il Convento era stato luogo di convegno e rifugio anche in occasione di eccezionali calamità naturali e di epidemie, oltre che riferimento quotidiano per i bisognosi.
Durante l’eruzione vesuviana del 1611 p. e. molti, anche distanti, vi si recarono.
Nel 1600 la Solofrana e la Cavaiola tracimarono, allagando completamente i Casali da Fucilari a Borgo e Pietraccetta. Quando le acque si ritirarono (prima non fu possibile), i frati intervennero tra la popolazione.
Nel 1656 la Campania fu colpita dalla peste, con tutta la desolazione, nelle strade e nelle case, che anche i riferimenti letterari ci fanno conoscere. Anche qui viene scritto che i frati, lasciato il convento, portavano agli ammalati e alla gente la propria presenza e disponibilità. Gli stessi amministratori nocerini dell’epoca, da lunga data non proprio favorevoli ai frati, ne riconobbero l’impegno.
I terremoti colpirono, ovviamente, lo stesso convento oltre che la popolazione: fu nel 1627 (riferite 5000 vittime), nel 1694 (vittime imprecisate), nel 1857 (riferite 11000 vittime). In quest’ultimo frangente si riporta che i frati, dopo aver sistemato alla meglio le parti danneggiate del fabbricato (che, riparate dopo il 1631, raggiunsero l’attuale forma quadrata; poi, sopraelevando con l’attuale secondo piano, si raggiunsero le 30 stanzette; si terrazzò a ulivi e agrumi il terreno alle spalle), soccorsero quanti vivevano in città ma anche fuori e lontano da essa. Il terremoto dell’Ottanta non arrecò danni rilevanti.
Durante la seconda guerra mondiale il convento si aprì ai bisognosi. Con i bombardamenti alleati, il podestà Arminio chiese ai frati il 20.9.1944 la disponibilità ad accogliere le famiglie nocerine e questo avvenne fino a fine settembre; il convento fu solo sfiorato ma danneggiato dalle vibrazioni delle esplosioni. Sia Pietraccetta che piazza S. Antonio furono bersaglio degli alleati. Il popolo per fame saccheggiò la caserma Tofano; nella stretta, i pastifici Gabola e Nobile offrivano pasta, di solito cucinata quotidianamente con le zucche.
Riprendendo la storia del Convento e delle sue vicissitudini, nel 1807 i Francesi conquistano il Regno ma, nonostante la soppressione degli ordini, esso viene tenuto aperto, visto anche il legame alla popolazione.
Nel 1834-36 comincia a prendere corpo l’idea, successivamente precisata, di istituire un ospedale a Nocera (pp. 49-51).
In parallelo, i tentativi, a opera delle istituzioni comunali, di screditare i frati, tentativi non meglio precisati nel libro. Nel 1856 il Comune, che provvedeva al Convento per 56 ducati annui (v’erano allora 19 frati), chiede all’Intendente di Salerno come continuare. Dal 1857-8 si seppelliscono in Convento i benefattori.
Nel 1861, con la conquista del Regno da parte dei Savoia, si sopprimono, com’è noto, gli ordini religiosi; ma, con decreto in deroga di Vittorio Emanuele II, i Cappuccini fanno eccezione, ovvero il Convento sarà proprietà dello Stato ma i Cappuccini continueranno a viverci e a operare secondo tradizione. Si riporta l’inventario dei beni, con l’atto di presa di possesso dello stato sabaudo, che è dei 1862. Ma i frati, invitati ad abbandonare il fabbricato, rifiutano e d’ora in avanti continueranno a rifiutare, proprio in forza del decreto regio del 1861; essi tentano di organizzare un punto di riferimento per la questua anche a Pietraccetta. Nello stesso anno 1862 il Comune di Nocera chiede al Fondo statale per il Culto il trasferimento della proprietà del Convento, in vista dell’istituzione di un ospedale, pensando fosse una sede possibile; il che viene concesso, a condizione che il Comune vi realizzi effettivamente il nosocomio; in mancanza, il Convento verrà restituito. Ma i frati, richiesti, ancora rifiutano di lasciare il luogo, adducendo di voler continuare ad assistere poveri ed ammalati, come fanno da secoli. Il Comune allora si impegna a versare circa 4000 lire annue, al fine della sussistenza della comunità monastica (al tempo, 15 persone vivono in Convento, di cui però solo 5 sacerdoti). Risultano i verbali di consegna, in questi anni, di materiali al Convento.
Nel 1896 l’ipotesi di destinare il Convento ad ospedale pare possa realizzarsi. Il Sindaco barone Aurelio Bosco Lucarelli chiede al Consiglio Comunale di adattare il Convento ad ospedale; si dispone un sopralluogo dell’Ufficiale Sanitario, al fine di verificare se nel luogo vi siano le condizioni per l’ospedale. Il parere, di cui risulta verbale, è negativo: le condizioni non vi sono, se si eccettua la salubrità dell’aria di collina, ovvero, perché si disponga il Convento ad ospedale, occorrono lavori costosissimi. Meglio costruire un nuovo edificio in luogo più raggiungibile, e dotato di ambienti adeguati e acqua.
Il Sindaco allora decide di vendere il Convento, al fine di realizzare in tutto o in parte la somma, che all’apprezzo (o stima: nel libro, anche in questo caso, è il documento), viene a risultare di lire 12.000.
In analogia a quanto avverrà per S. Anna, prende corpo, in vista dell’asta, una raccolta di fondi all’interno della Curia generale dei Cappuccini, della Curia vescovile (il Vescovo Luigi Del Forno è egli stesso terziario francescano) di benefattori quali Gambardella; la somma viene raccolta e all’asta si presenta solo una persona che si aggiudica il Convento per Lire 12.010. I frati ridiventano proprietari.
Nel 1907 si istituisce al Convento lo studio di filosofia e letteratura.
Dopo il 1979 (Legge Bisaglia, chiusura ospedali psichiatrici) il convento venne affittato per trent’anni, per una somma annua simbolica, a una società che vi apportò anche delle modifiche per ospitare pazienti anziani e disabili. Ma il convento iniziò a essere abbandonato, i frati dovettero rinunciare all’accoglienza e il sisma dell’Ottanta peggiorò la situazione. Solo dopo 11 anni il contratto venne annullato.
Una storia che procede insieme a quella del complesso è quella semi-ufficiale dei suoi oggetti preziosi o unici, delle tele, delle sepolture, anche illustri, delle loro diverse collocazioni nel tempo. Resta nell’ingresso alla chiesa il sarcofago del duca Carafa, qui dislocato dopo qualche vicissitudine.
Il sarcofago del benefattore duca Alfonso Carafa, con epigrafe latina della moglie Giovanna Castriota Scanderbeg, oggi ricomposto ma vuoto, si trova a sinistra nell’ingresso antistante la Chiesa, visibile anche a cancello chiuso.
Anticamente la chiesa, i suoi muri e il pavimento servirono anche da sepoltura di benefattori e monaci, poi destinati in cimitero.
Varie rappresentazioni sacre di autori diversi erano nella Chiesa, delle quali alcune sono tuttora presenti. L’immagine di S. Andrea si trova a sinistra dell’altare in legno con S. Francesco d’Assisi e la Madonna delle Grazie. L’altare in legno è stato malamente restaurato, e parecchio tempo fa (forse 1975 ca.); una grata in legno delimita la zona clausura. Varie cisterne sono situate nell’area pertinenziale.
Dopo la portineria (costruita nel 1960), il refettorio in cui erano sei grandi tele semicircolari, raffiguranti soggetti biblici ed evangelici. Due di queste (si riferisce a p. 152) sono conservate al convento di Piedigrotta a Napoli.
I restauri vennero condotti dagli anni Novanta al 2009 e finanziati, oltre che dai Beni Culturali, anche tramite la Sagra Francescana.
Visto che diversi tentativi di dismissione del Convento non avevano esito, nel 2007 viene assegnata al Convento una fraternità, dichiarandolo Centro missionario. Si insediano nel Convento i frati del Centro; essi gestiscono anche l’antistante spazio comunale, creando la possibilità di divertimento per i bambini.
Nel mese di luglio, da decenni, si tengono nei luoghi i festeggiamenti di Santa Veronica, che pare essere stata la prima mistica francescana dell’ordine dei Cappuccini. La processione col centro missionario ha avuto ulteriore impulso; parte oggi da S. Bartolomeo Apostolo, si snoda nel rione Pietraccetta; si conclude con messa e fuochi al Convento.
Ultimi lavori portati a termine, il mosaico della Vergine del Rosario di Pompei nella Chiesa e una pietra intagliata alla base della sua scala di accesso.
Fonte di notizie sulla storia del Convento nel quadro della storia di Nocera Inferiore dai primi decenni del Cinquecento, il libro “I Cappuccini a Nocera” di Gioacchino Orleto, databile (non vi si trova data di pubblicazione) agli ultimi anni. L’ho trovato utile in quanto contiene documenti degli archivi e fotografie, e dei documenti riporta oltre alla foto anche la trascrizione, in modo che essi sono perlopiù comprensibili.
Cito anche i riferimenti contenuti nel testo di a cura di Teobaldo Fortunato, Nuceria, scritti in onore di Raffele Pucci, Postiglione (SA), 2006.