Presentazione di "Prossimo e remoto"– Il 30 marzo 2022 /Fedele Studio di Nocera Inferiore
Eleonora Rimolo (Salerno 1991) laureata in Lettere Classiche e in Filologia Moderna, è assegnista di Ricerca in Letteratura Italiana presso l’Università di Salerno. Ha pubblicato le raccolte poetiche Dell’assenza e della presenza (Matisklo 2013), La resa dei giorni (Alter Ego, 2015 – Premio Giovani Europa in versi) e Temeraria gioia (Ladolfi, 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio “Civetta di Minerva”). Con alcuni inediti ha vinto il Premio “Ossi di seppia” (Taggia 2017) e il “Premio Conza” 2018. Con il libro di poesia La terra originale (Pordenone-legge-LietoColle 2018) vince il premio “Achille Marazza” e il premio “Poeti di vent’anni Premio Pordenonelegge Poesia”. Nel 2019, con Giovanni Ibello, cura per l’editore Ladolfi l’antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni ’90. L’ultimo libro di poesia è Prossimo e remoto del 2022, ed. peQuod, Ancona. È Direttore della sezione online della rivista “Atelier” e delle collane di poesia Letture Meridiane ed Aeclanum per la Delta3 edizioni.
Ringrazio Eleonora per avermi invitato a presentare questo suo nuovo libro e Pier Giuseppe Fedele per la generosa ospitalità.
Sono molte e diverse le domande intorno alla poesia; sembra diffusa l’ironia nel merito, come se occuparsi della poesia significhi occupasi di nulla; tuttavia sono molti quelli che vi si dedicano.
Poesia è per eccellenza comunicazione sebbene essa non possa solo dirsi comunicazione. Attraverso la poesia s’intende dare una comunicazione molto forte al mondo, intorno alla propria modalità di vedere il mondo.
Ovviamente tale modalità viene in attivo contatto con la modalità del lettore, in modo che il messaggio di partenza venga in qualche senso a virare in un diverso senso, quello di arrivo.
A ciò si deve qui aggiungere che il dire poesia, cioè la voce che dice poesia, a sua volta in un senso speciale trasmette il senso dell’accadere , di per sé già prodigioso, di tutte le cose: una volta e mai più è per sempre, essa è la volta definitiva, che non si ripete.
Difatti, leggo
Come dire che questo libro è scritto
per te, per il lutto indossato ogni giorno,
… Come dire che sono la stessa
persona il ragazzo arreso alle porte scorrevoli
mentre chiede monete ai passanti e il bambino
accostato alla parete in attesa del padre
di un altro colore… (p. 30)
Chi è il “tu”? Si tratta del “per” te, ovvero per chiunque e per ognuno: per l’universale “te”, cioè l’umanità intera che è infine quel “popolo disperso nella storia,/spodestato dalla terra… prima di rimetterci in viaggio” (ivi) , vista la sorte comune, e visto che ognuno lascia la propria storia, posto che la sappia raccontare (cfr. p. 59), è come si lasciasse un messaggio di congedo (cfr. p. 60).
Qual è qui questo messaggio?
Quali sono le figure che, leggendo secondo la mia personale storia e, spero, secondo la storia dei molti, si possono incontrare qui?
- 1) Le figure del negativo sono, per semplificare,
- - la guerra (p. 29, la resa; p. 17, “è la guerra che chiama”). Si coglie l’interazione singolare tra l’intenzione del poeta e lo Zeitgeist. Ma il libro, pubblicato a inizio d’anno, alcune cose non le vedeva, le pre-vedeva.
Anche se per mesi non apriamo le finestre
ogni volta uscire è rispondere al richiamo
delle armi… è la guerra che chiama,
- - la palude (p. 36: il fondo “enorme abisso limaccioso”, e, a p. 14
… conto le tue imperfezioni sulla riva
di questo stagno inospitale, chiedo
all’imprecisa retta dell’orizzonte
se sia giusto essere stanchi
di quel che si ha o si ama
… perché nessuno ha mosso
le acque, nessuno è più riemerso
dal fondale petroso
dove non arriva
luce e non c’è vegetazione ma solo
la palude ferma...,
- - il decomporsi, lo svanire, in una specie di percepire allucinato,
ancora ti guardo ed è l’abisso: i denti si staccano…
il tempo dura il colpo
dell’onda… il profilo dell’isola bella
… al tramonto si spegne nel calore
e non brilla più: così si assottigliano tutte
le tue dita posate sul braccio destro
… dissolte
in questo agosto torrido di rame (p. 34)
o
… si scollano le ante, i cassetti,
i pomelli, gli orologi del muro,
… Le ore spente
… galleggiano (p. 37);
- - il degrado dell’umanità, raffigurato nella memoria della mendicante Modesta Valenti (p. 18) o del barbone, di colui che il cielo non ascolta:
… l’uomo coi suoi stracci incosciente
al sole d’agosto rimane immobile
col bacino esposto… non è così che si muore
solo quando si vuole. Questo
è il martirio cocente: non essere
ascoltati dal cielo… (p 19),
- - o in definitiva il senso interrotto, spezzato e l’infanzia perduta una volta per tutte nel tempo irreversibile:
… siamo stati bambini
per niente…
so che non tornerà quell’autunno…
ti fermerei così
per sempre… (p. 11)
- 2) Le immagini del positivo, indissolubili da quelle precedenti negative, si presentano al condizionale: nel caso, dunque il desiderio dell’arrestarsi del tempo viene contraddetto dal senso della realtà, e resta confinato nel "ti fermerei" (e questa è la realtà: vorrei ma non posso, nessuno può, “Eppure/nessuna cosa (delle cose che sono) è contro natura“di p. 50. L’istante dell’ “a volte” è l’unica forma di eternità che ci è concessa: accade una volta, è per sempre. L’eternità si manifesta nell'istante, sotto la modalità del desiderio, nel “vorrei”.
con esiti lirici:
Vorrei pensarla anch’io questa giornata amico mio
come freccia senza bersaglio lanciata nel pomeriggio
che non conclude mai la sua discesa ma vive alta
nel sogno della durata… e sembra eterno un febbraio… (ivi)
E così stanno, d’altro canto ma insieme, le figure della speranza e del positivo, della tenerezza, colme di suggestioni, di riferimenti e indicazioni, ontologie abbozzate e plastiche:
Alla fine l’albero deperisce dolcemente,
trattiene il calore prima di spezzarsi:difficile carezzarti il volto freddo di cera,
le dita si ritraggono, scottano di una febbre
da palude. L’ora è alterata dalle luci, sulla punta
dell’obelisco nasce la tua santa stella, mentre
corre la processione del giglio e nel cuore
bruciano grandi preghiere di paglia (p. 42),
- - nell’istante irripetibile, il tempo sembra rallentarsi, si presentano “famiglia, legno, sonno” :
Qui tra le geometrie abbandonate dei palazzi
abita da giorni un battito che corre veloce
… non c’è più fretta, respirano
larghe le mura ci invitano alla vita…
ad accendere fuoco e vino sopra le fonti di resina,
ad amarti…
a gridare oltre le cime dei tetti famiglia, legno, sonno (p. 26),
- - nell’istante che non torna, nell’ “a volte”:
a volte lo sento in uno svoltare di strada,
appartiene a un passante, al suo stare
in un giorno reale: forse sono tornati
davvero gli dèi… (p. 52)
- - nelle finali pagine dell’amore
Sempre in qualunque luogo stia qualunque persona
da ogni lato si lascia sempre un tutto infinito:
vorrei toccare vera con la punta delle dita,
rimettere in piedi Umberto con una abbraccio,
dire a Nilde che il dolore è solo un lampo… (p. 60)
o
A volte dimentico i nomi
ma lo giuro io vi amo, vi amo più
di quanto una donna possa amare
il suo uomo…
E non posso dimenticarvi bambini
miei, e non so fermare il tempo… (p. 61)
Ovvero anche
L’ho sognata più volte questa famiglia…
È questo amore che moltiplica e non
divide…
Credo nel ventre che si gonfia, voglio
essere madre anch’io…
Ed è questo l’unico dio che venero
e che prego quando la solitudine
stringe il cuore… (p. 62)
Conviene, sul finire, una breve considerazione.
A p. 12 si legge che “l’amore/… non parte – …/non dovrebbe mai partire/ per il rischio feroce dello spreco”.
Non dovrebbe; e tuttavia esso accade, come mostrano le composizioni finali, una professione di fede in “questo amore che moltiplica/e non divide” (p. 62).
In passi famosi, un celebre pensatore ha osservato che, sebbene non si dia conoscenza della libertà, questa tuttavia, come si osserva nella storia, accade. Si può dunque credere nella libertà.
È lo stesso, per analogia: l’amore non dovrebbe eppure c’è; la libertà non si conosce ma accade.
E così arriviamo a questi giorni, a ciò che ci preoccupa: si osserva e teme la guerra, ma la pace accade, nonostante tutto.
Forse che, siccome l’amore non dovrebbe partire, esso non accade? Se della pace disperiamo, forse che essa non ci sarà mai?
Il messaggio finale del libro sta tra le pagine 63 (da Qohèlet) e 62 “L’unica certezza… è questo amore che moltiplica…”.
Ciò che può sembrare una contraddizione logica è invece paradosso, il paradosso centrale nella nostra esistenza. Come nei versi di Sereni, andiamo "di abbagliamento in cecità" e viceversa; come nel Politico di Platone, il mondo oscilla tra la verità e il “mare della dissomiglianza”; come scrisse Borges, tutto si costruisce sulla sabbia, nulla sulla pietra, ma noi dobbiamo costruire come se la sabbia fosse pietra.
Tutto è vano ma la speranza è in quanto tale infallibile e mai muore o sempre risorge.
Il titolo prossimo e remoto lo leggo come inserzione di questo tempo nel lungo tempo della nostra storia. Lo accompagnano le ombre dell’antica sapienza greca e di Eraclito, della Bibbia, sapienza ebraica e nostra, e di Dührer, dell’analitica esistenziale di Heidegger…
Quando l’ossessione di morte si addensa nell’aria, dobbiamo lasciare che il silenzio venga. Allora la poesia parla.